L'inquinamento atmosferico è stato segnalato come una variabile che contribuisce alla diffusione differenziale della SARS-CoV-2, ma i meccanismi biologici alla base del fenomeno sono ancora sconosciuti. Gli scienziati dell'ospedale Sant'Andrea di Roma hanno studiato mediante analisi di correlazione i dati sulla qualità dell'aria ed i dati epidemiologici relativi al COVID-19 di 110 province italiane, per valutare l'associazione tra le concentrazioni di particolato (PM)2.5 e l'incidenza, il tasso di mortalità e il rischio di mortalità del caso di COVID-19 nel periodo 20 febbraio-31 Marzo 2020.
L'analisi bioinformatica della sequenza di DNA che codifica per l'enzima 2 di conversione dell'angiotensina (ACE-2) del recettore cellulare SARS-CoV-2 è stata eseguita per identificare i motivi di consenso per i fattori di trascrizione che mediano la risposta cellulare all'esposizione degli inquinanti.
Sono state evidenziate correlazioni positive tra i livelli di PM2,5 e l'incidenza (r = 0,67, p <0,0001), il tasso di mortalità (r = 0,65, p <0,0001) e il tasso di letalità (r = 0,7, p <0,0001) del COVID-19. L'analisi bioinformatica del gene ACE-2 ha identificato nove presunti motivi di consenso per il recettore degli idrocarburi arilici (AHR). I risultati del Sant'Andrea, pertanto, confermano il presunto legame tra l'inquinamento atmosferico e il tasso e l'esito dell'infezione da SARS-CoV-2 e supportano l'ipotesi che la sovraespressione di ACE-2 indotta dall'inquinamento sulle vie aeree umane possa favorire l'infettività di SARS-CoV-2.