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mercoledì 30 gennaio 2019

Limitare l'aggiunta volontaria di microplastiche


L'ECHA (l’Agenzia europea delle sostanze chimiche dell'Unione europea, con sede a Helsinki) ha valutato i rischi per la salute e l'ambiente causati dalle microplastiche aggiunte intenzionalmente a miscele utilizzate da consumatori o professionisti e è giunta alla conclusione che una restrizione a livello comunitario sarebbe pienamente giustificata. Se adottata, tale restrizione potrebbe comportare una riduzione delle emissioni di microplastiche di circa 400 mila tonnellate in un arco temporale di 20 anni.

La valutazione dell'ECHA ha rilevato che le microplastiche aggiunte intenzionalmente hanno maggiori probabilità di accumularsi negli ambienti terrestri, poiché le particelle si concentrano nei fanghi di depurazione che vengono spesso utilizzati come fertilizzanti. Una percentuale molto più piccola di queste microplastiche viene rilasciata direttamente nell'ambiente acquatico. La persistenza nell’ambiente e il potenziale di reazioni avverse o bioaccumulo causato dalle microplastiche sono motivo di preoccupazione. Una volta rilasciate, possono essere estremamente persistenti nell'ambiente, durare migliaia di anni e essere praticamente impossibili da rimuovere.
Attualmente non c’è modo di determinare l'impatto sull'ambiente di tale esposizione nel lungo periodo.

I dati disponibili sugli effetti sono limitati, in particolare per l'ambiente terrestre, il che rende difficile la valutazione del rischio. A causa delle loro piccole dimensioni, le microplastiche e le nanoplastiche – le particelle più piccole create soprattutto dall'ulteriore degradamento delle microplastiche - possono essere facilmente ingerite (da persone, mammiferi, pesci) e quindi entrare nella catena alimentare. Sebbene i potenziali effetti nocivi sulla salute umana non siano stati ancora ben compresi.
Nel complesso, l'utilizzo di microplastiche nei prodotti che comportano il rilascio nell'ambiente non è adeguatamente controllato.

La restrizione proposta dell'ECHA riguarda le microplastiche aggiunte intenzionalmente in prodotti dai quali saranno inevitabilmente rilasciate nell'ambiente. La definizione di microplastica è ampia, e si riferisce a particelle polimeriche sintetiche di piccole dimensioni, se non addirittura microscopiche (meno di 5 mm), resistenti al biodegradamento: comprende una vasta gamma di prodotti di consumo e professionali utilizzati in molteplici settori, tra cui prodotti cosmetici, detergenti e prodotti per la manutenzione, vernici e rivestimenti, materiali da costruzione e medicinali, nonché vari prodotti utilizzati in agricoltura e orticoltura, nonché nel settore energetico (Oil&Gas).


L'ECHA ha valutato l'impatto socioeconomico della restrizione proposta ed è consapevole che potrebbe comportare costi diversi a seconda del tipo di prodotto interessato. Tuttavia, l'implementazione della restrizione dovrebbe essere economicamente vantaggiosa in tutti i settori, compreso il settore agricolo, identificato nella proposta come la principale fonte di microplastiche aggiunte intenzionalmente.

Diversi Stati membri dell'UE nonchè extra-UE hanno già introdotto divieti sull'uso delle microplastiche in determinati tipi di prodotti, in gran parte riguardanti i prodotti cosmetici (soprattutto maschere per il viso a risciacquo): dopo che nel 2017 Stati Uniti, Nuova Zelanda ed Irlanda hanno messo al bando le microsfere dei cosmetici e dei prodotti per la cura personale, nel 2018 anche Regno Unito e Canada hanno adottato un regolamento con analoga efficacia.

L'ECHA ha pubblicato la proposta di restrizione sulle microplastiche contemporaneamente alle ulteriori proposte di restrizione relative alla formaldeide e per i silossani D4, D5 e D6. I D4 e i D5 sono ciclosilossani (che sono membri base della vasta famiglia di materiali siliconici) principalmente usati come monomeri per la produzione di polimeri siliconici. I D4 e i D5 - insieme al dodecametilcicloesasilossano (D6) - sono i tre ciclosilossani utilizzati nella produzione commerciale e sono liquidi incolori, incolori, comunemente usati come prodotti intermedi o materie prime di base nella produzione di gomme siliconiche, gel e resine. Oltre a questo, hanno anche un uso diretto in una serie di prodotti per la cura personale, tra cui lozioni per il corpo, lacche per capelli, bombolette spray e solari.



martedì 29 gennaio 2019

La Via Francigena nella TENTATIVE LIST nazionale Unesco


Il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’ UNESCO ha espresso parere positivo all’iscrizione nella Lista propositiva nazionale della candidatura della “Via Francigena in Italia”. La conferma è arrivata martedì 24 gennaio in sede di riunione del Consiglio Direttivo. 

Un passo importante per l'Itinerario Culturale del Consiglio d'Europa nell'iter di candidatura alla lista del Patrimonio Mondiale. La prima fase della candidatura prevede, infatti, la richiesta di iscrizione nella Tentative List nazionale, con la quale lo Stato evidenzia al Centro del Patrimonio Mondiale, World Heritage Center-WHC, i motivi dell’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale.

Il percorso della candidatura UNESCO della Via Francigena, iniziato nel 2010 e poi sospeso l'anno successivo, dal 2017 è entrato in una nuova fase operativa che vede coinvolto il MIBAC, le Regioni italiane e l'Associazione Europea delle Vie Francigene (AEVF)

La fase dell’analisi preliminare del tratto italiano, presentata nella primavera 2018 grazie al lavoro congiunto delle sette Regioni (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria, Lazio, con la Regione Toscana capofila) con MIBAC e Associazione Europea delle Vie Francigene, si conclude dunque positivamente con l’inserimento nella tentative list

E’ iniziata nel frattempo la seconda fase per la definizione dello studio di fattibilità europeo della candidatura che coinvolge Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia. All’interno di questo studio sarà sviluppata una strategia di candidatura della Via Francigena comprendente una proposta generale dell’intero itinerario, in cui sarà sottolineato come, le sue distinte sezioni, potranno essere individualmente ed in tempi diversi, candidate nella Lista del Patrimonio Mondiale, lasciando comunque indiscusso il valore universale della Via. 

“L'itinerario europeo merita di veder riconosciuta la sua straordinaria particolarità ed importanza sia sotto il profilo culturale che naturale. - commenta l'Associazione Europea delle Vie Francigene, incaricata dalle Regione Toscana di svolgere un ruolo di supporto tecnico ed istituzionale al progetto di candidatura UNESCO - La Via Francigena rappresenta una grande opportunità di crescita e sviluppo per i territori, ma anche di tutte le comunità locali che dovranno essere coinvolte in questo progetto. Si tratta di un bene complesso, patrimonio dell'umanità, da tutelare e valorizzare all’interno della rete UNESCO, la quale andrebbe ad aggiungersi a quella del Consiglio d’Europa che ha certificato la Via Francigena dal 1994”.

Comunicato stampa dell'Associazione Europea delle Vie Francigene – rete del Consiglio d’Europa
I GRE Lazio sono Amici della Via Francigena


mercoledì 23 gennaio 2019

Com'è l'aria nel Lazio? Ce lo dice l'ARPA

Al di là dei luoghi comuni, la valutazione della qualità dell'aria di una determinata zona deve essere sempre operata secondo metodo scientifico ed in base a rilevazioni affidabili. L'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente (in acronimo ARPA) è l'ente della pubblica amministrazione italiana, gestito dalla Regione Lazio, preposto a tale scopo. E l'Arpa ha diffuso la valutazione preliminare della qualità dell’aria laziale relativa all’anno 2018. 

Si tratta dei risultati ottenuti dalla rete automatica di monitoraggio della qualità dell’aria del Lazio dal 01/01/2018 al 31/12/2018 con riferimento alla verifica del rispetto dei limiti di legge previsti dal D.Lgs. n. 155/2010. A breve, Arpa Lazio rilascerà la versione definitiva della valutazione della qualità dell’aria, che conterrà anche le ricostruzioni modellistiche dei campi di concentrazione degli inquinanti sull’intero territorio regionale ottenute assimilando tutte le informazioni dei monitoraggi da punti di misura fissi o mobili e i risultati delle analisi di laboratorio per quanto riguarda metalli e benzapirene.
 
Nel 2018, la rete di monitoraggio della qualità dell’aria in gestione all’ARPA Lazio è stata costituita da 52 postazioni chimiche di misura, di cui 45 appartenenti al programma di valutazione della qualità dell’aria Regionale (DGR n.478/2016)
Tabella tratta dal rapporto ARPA
Relativamente al PM10, gli unici superamenti dei valori limite sono stati registrati  nella zona Valle del Sacco: il numero di superamenti del limite giornaliero è risultato superiore al valore consentito dalla norma nelle postazioni di Cassino, Ceccano, Colleferro Europa e Frosinone Scalo. Nell’Agglomerato di Roma sono stati registrati valori più elevati, sia per le medie annue che per il numero di superamenti del limite giornaliero di PM10, rispetto alle zone Appenninica e Litoranea ma in nessuna delle tre zone si ha un superamento dei limiti normativi. Il limite annuo relativo al PM2.5 invece non è mai stato superato in nessuna delle stazioni della rete regionale di monitoraggio.
Rispetto al biossido di azoto, invece, le criticità rilevate hanno riguardato il valore medio annuale e sono state maggiori nell’Agglomerato di Roma seppur presenti anche in zona Valle del Sacco: in particolare, la concentrazione media annuale ha superato il valore prescritto dalla legge nell’Agglomerato di Roma nelle stazioni di Cipro, Fermi, Francia, Magna Grecia e Tiburtina mentre, nella zona Valle del Sacco, solo nella stazione di Frosinone Scalo. Nella zona Litoranea è stata invece la stazione di monitoraggio di Civitavecchia “via Roma” a registrare la concentrazione media annua di biossido di azoto più elevata mentre in zona Appenninica il massimo è stato registrato a Viterbo. Ad ogni modo, i superamenti del valore limite orario sono sporadici, massimo uno per centralina, tre in totale nella regione: decisamente inferiori al massimo numero consentito in un anno (18).

Relativamente a Benzene, Biossido di zolfo e Monossido di carbonio, nel 2018 non sono stati rilevati superamenti dei valori limite in nessuna delle stazioni della rete di monitoraggio regionale.


Arriva il regolamento del verde... ma si poteva fare di più!

Il 16 gennaio, l'Amministrazione capitolina ha approvato il Regolamento Capitolino del verde pubblico e privato e del paesaggio rbano di Roma Capitale, un documento indispensabile (scaricalo qui), atteso da anni e realizzato anche confrontandosi - tra le altre associazioni - con i Gruppi Ricerca Ecologica Lazio.

A nostro avviso il regolamento è un grande risultato da un punto di vista amministrativo, che per la prima volta mette ordine e addirittura regolamenta ex novo la materia. Non senza innovazioni interessanti, quali la possibilità di "adottare" aree verdi.

Su alcuni punti però ci saremmo attesi uno sforzo maggiore. Vediamoli nel dettaglio:

Nel caso dei trattamenti fitosanitari, in primis: la Direttiva europea 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e la normativa di recepimento e attuazione a livello nazionale (Dlgs. 150/2012, DM n. 35 del 22/1/2014) hanno evidenziato la necessità di valutare l’utilizzo di tali prodotti in termini di pericolosità partendo da realtà che già prevedono la tutela di specie e habitat protetti (Direttiva Habitat e Uccelli). Rispetto al regolamento avremmo auspicano gli interventi di diserbo fossero sempre e comunque ad impatto zero, e non solo lungo le sponde dei fossi, dei canali, degli argini dei fiumi, delle aree incolte in genere: su tale orientamento c'è anche un impegno assunto dal Governo a seguito della P.D.L. 9/00302-A/009 dell'onorevole Massimiliano Bernini (M5S). Anche all'art.23 si parla ancora di indefiniti "prodotti sostenibili", mentre già il MATTM di concerto con il MIPAAF hanno adottato il Decreto 15 febbraio 2017  "Adozione dei criteri ambientali minimi da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d’appalto per l’esecuzione dei trattamenti fitosanitari sulle o lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade", che ha ufficializzato i criteri ambientali minimi da utilizzare nelle gare di appalto per i trattamenti – quasi esclusivamente diserbi – di strade, autostrade e ferrovie, ed attua i punti A.5.4. e A.5.5. del Pan, che prevedeva la fissazione di criteri ambientali minimi per gli appalti in materia di trattamenti di strade, autostrade e ferrovie, entro due anni dall’entrata in vigore del Piano (13 febbraio 2014 – come indicato nel decreto 22 gennaio 2014): in perfetta sintonia con i provvedimenti originali, il decreto prevede che anche negli appalti per i trattamenti di strade, autostrade e ferrovie si tenda a sostituire i prodotti fitosanitari con l’utilizzo di mezzi fisici e meccanici (es. sfalcio, pirodiserbo, pacciamatura, utilizzo di vapore e/o di schiume), che costituiscono peraltro l’unica alternativa nei siti della Rete Natura 2000 e nelle aree naturali protette. Non si potranno proporre formulati contenenti sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione di categoria 1A (non ce ne sono, ad eccezione del rodenticida Warfarin, peraltro privo di autorizzazioni in Italia) e 1B (tre sostanze attive – epoxiconazole, glufosinate e linuron – con autorizzazioni in Italia) o classificati come altamente tossici per l’ambiente acquatico (riportanti in etichetta una delle indicazioni di pericolo H400, H410, H413 o R50, R53, R50/53 nel caso di scorte che in ogni caso non potranno più essere vendute dopo il 1° giugno 2017).  Non sono bene accetti nemmeno i prodotti classificati con le frasi SPe1, SPe2, SPe3, Spe8, che indicano vari tipi di limitazione imposta dalla valutazione delle proprietà ambientali del formulato (es. divieto di utilizzo in certi terreni, utilizzo di buffer zones e/o ugelli antideriva etc.), quelli tossici e molto tossici, cancerogeni/mutageni/tossici per la riproduzione di categoria 2 (che in Europa e Italia sono decisamente più frequenti: 22 sostanze attive cancerogene approvate, 1 sola mutagena e 20 tossiche per la riproduzione) e nemmeno i sensibilizzanti per la pelle e per le vie respiratorie, oltre ai prodotti riportanti in etichetta frasi indicanti danni a vari organi per esposizione acuta o cronica e per i lattanti allattati al seno. E nel caso di corpi idrici i trattamenti dovranno fermarsi in ogni caso almeno a 10 metri (5 se si utilizzano ugelli antideriva) da corpi idrici o più lontano se ciò è previsto nell’etichetta autorizzata. 
L'art.39 del regolamento - Difesa fitosanitaria, invece, dice semplicemente che "I trattamenti contro parassiti, patogeni e infestanti, devono essere realizzati preferibilmente ricorrendo a criteri colturali, alla lotta biologica o a sostanze chimiche di bassa o nulla tossicità sull'uomo, sulla fauna e sulla flora selvatica. I trattamenti chimici devono essere possibilmente eseguiti in base ai principi della lotta integrata. (in conformità al D.L.gl. 150 del 14 agosto 2012 e s.m. e i. in recepimento della Direttiva UE sull'uso sostenibile dei pesticidi, l'agricoltura integrata diventa obbligatoria su tutto il territorio italiano, come su tutto il territorio UE)"... si poteva oggettivamente fare di più. Così come, dal momento che non si è ritenuto di escludere la chimica, era sicuramente meglio obbligare che il cartello di avviso del trattamento previsto dal comma 3, recasse anche il nome del principio attivo utilizzato e le informazioni relative al soggetto incaricato di eseguire l'intervento, al responsabile ed ai numeri da contattare in caso di emergenza.

L'allegato 9 disciplina gli interventi e tipologie di potature: pur biasimandola pesantemente, avrebbe dovuto espressamente vietare la tecnica della capitozzatura degli alberi, una pratica vietata in altri Paesi europei e punita con severe multe: trattandosi di un taglio all'internodo sia delle grosse branche ad andamento verticale che delle ramificazioni laterali, è sempre da evitare perché ha spesso come conseguenza lo sviluppo di carie del legno prodotte da agenti fungini, fino alla morte del ramo o della branca. Inoltre stimola la produzione di vegetazione epicormica in prossimità della superficie del taglio che per molti anni rimane male inserita (assenza del collare del fusto) o inserita su un punto di potenziale debolezza per lo sviluppo di carie interne. Con la capitozzatura, poi, vengono eliminate le gemme dormienti contenute all’interno del legno le quali originano rami sani, ben formati e ben ancorati: in pratica, dopo la capitozzatura, la nuova chioma trae origine da gemme avventizie che producono numerosi rami detti succhioni (che entrano in concorrenza tra loro) i quali si differenziano dai rami normali in quanto non sono saldamente ancorati alle branche e sono caratterizzati da una maggiore vigoria vegetativa e quindi minore lignificazione che li rende più facilmente esposti a rotture e schianti. A Roma, comunque, la capitozzatura verrà sanzionata.

Per gli impianti, inoltre, ogni albero dovrebbe sempre avere almeno 1,5-2 mq di superficie libera a disposizione per consentire alle radici di effettuare gli scambi gassosi con l’aria, meglio se si lascia loro un’intera striscia (minore manutenzione con minori costi; più sicurezza stradale e per il cittadino, più ossigeno da fotosintesi; miglioramento paesaggistico e vantaggi per salute e turismo). 
Infine, ci saremmo attesi indicazioni più precise circa il taglio delle radici degli alberi ad alto fusto, che comunque per la particolare composizione dei terreni tipici di Roma (pozzolane miste a limi poco addensati e argille plastiche poco consistenti derivanti dal processo di argillificazione secondaria delle vulcaniti) andrebbe accuratamente evitato soprattutto per i pini domestici a una distanza inferiore a 4 – 5 metri dal fusto, come ad esempio previsto dal “Regolamento Scavi” di Roma Capitale adottato dal Commissario Straordinario il 31.3.2016 nella sua versione più aggiornata: di contro, interventi ad una distanza significativamente inferiore a quanto permesso configurerebbero a tutti gli effetti una “costrizione edificatoria degli alberi” altamente dannosa e pregiudizievole per gli alberi stessi in quanto il taglio delle radici, debilitando le piante, ed aumentando il rischio di attacco da parte di funghi agenti del marciume radicale tipo Armillaria spp. e Heteobasidion spp., e nel tempo condurrà alla distruzione delle cellule legnose radicali, alterando la loro attività e generando squilibri sia nell’attività di assorbimento dei nutrienti che nell’ancoraggio degli alberi al suolo, finanche con potenziale rischio di schianto.