- piena applicazione delle Linee Guida Nazionali per la difesa della costa dai fenomeni di erosione e dagli effetti dei cambiamenti climatici elaborate nel 2016 dal MATTM con Regioni e Ispra, in particolare studiando e monitorando le forzanti che contribuiscono al fenomeno dell’erosione costiera nel Lazio e migliorando la resilienza costiera per promuovere la sostenibilità
- sperimentazione in siti a forte erosione del BMS e di altri sistemi innovativi (attenuatori d’onda, barriere in geosacchi), anche coinvolgendo – ove presenti – gli operatori balneari;
- salvaguardia dei litorali liberi da strutture e opere di difesa e conservazione ambienti dunali costieri del Lazio riducendo ulteriormente la pressione antropica;
- estensione ZPS marine per ridurre la pressione sull'habitat marino (i GRE hanno proposto osservazioni in tal senso in occasione della revisione delle perimetrazioni di 16 Z.S.C. marine di cui all’avviso della Direzione Ambiente della Regione Lazio pubblicato il 29/10/2019);
- laddove interventi a forte impatto ambientale non hanno sortito risultati (barriere, pennelli), bisogna valutarne la bonifica ripristinando il flusso di sedimenti che alimenterebbe le spiagge e riducendo al minimo il loro impatto ambientale.
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In evidenza
lunedì 20 luglio 2020
Erosione costiera, in Regione Lazio tutto tace
Rocca di Papa, via i tralicci televisivi abusivi
martedì 14 luglio 2020
Prenestino, scoperta discarica abusiva con 25 tonnellate di rifiuti
La discarica abusiva, gestita da tre cittadini italiani, è stata individuata nel corso del pattugliamento del territorio dalle Fiamme Gialle del 3° Nucleo Operativo Metropolitano che, dopo alcuni accertamenti preliminari, sono entrate in azione. Tra i rifiuti rinvenuti batterie esauste di veicoli, plastiche parzialmente bruciate, materiale legnoso, detriti provenienti da lavori di ristrutturazione edilizia, vecchi pneumatici, materassi e scarti di mobili, i quali, con il passare del tempo e l’esposizione agli agenti atmosferici, avrebbero potuto inquinare le falde acquifere sottostanti, con notevoli rischi per l’ambiente e la salute.
L’area è stata cautelata in attesa delle operazioni di bonifica e le tre persone dovranno rispondere del reato di gestione di rifiuti pericolosi non autorizzata.
sabato 11 luglio 2020
Parlo Lineare Roma Est, chiediamo subito la Cabina di regia
Dario Musolino, Andrea Nataloni e Roberto Pallottini |
venerdì 10 luglio 2020
Tevere: individuata la causa della nuova moria di pesci, tocca trovare il colpevole
giovedì 9 luglio 2020
E' reato prosciugare uno stagno naturale
Tale circostanza non preclude tuttavia la possibilità di procedere comunque al sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., ove sussista il fumus della violazione di una delle disposizioni penali previste dalla legge citata.
Nella fattispecie, i reati erano integrati già per il solo prosciugamento dello stagno naturale e il convogliamento delle acque in mare, a nulla rilevando che l’area di proprietà dell’indagato non fosse ricompresa nell’area marina protetta e l’operazione non avesse influito sulla qualità delle acque del mare.
Ma leggiamo per intero la sentenza...
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 09/06/2020 (Ud. 11/09/2019), Sentenza n.17485
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da [omissis] , nato a Brindisi;
avverso l’ordinanza in data 25/03/2019 del TRIBUNALE DI BRINDISI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’indagato l’avv. Anna Maria Ciardo, che ha concluso riportandosi ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 25 marzo 2019 il Tribunale del riesame di Brindisi ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 1 marzo 2019 dal Giudice per le indagini preliminari di Brindisi, avente ad oggetto delle aree di terreno meglio descritte in atti ed un tubo in pvc di colore arancione del diametro di 15 centimetri e lungo 35 metri, nei confronti di [omissis] , per il reato di cui al capo A), art. 19, comma 3, lett. b) e 30, commi 1, primo periodo, 4, 6, 7 e 8, L. n. 394 del 1991, perché, in area marina protetta, in violazione del divieto di alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche ed idrobiologiche delle acque, aveva creato un sistema di collettamento che scaricava in mare le acque di “una palude interna – stagno di durata temporanea” presente sull’area di sua proprietà, a seguito del ciclico riempimento di una depressione, così prosciugando la depressione, e per il reato del capo B), art. 734 cod. pen., perché aveva alterato le bellezze naturali della “Riserva marina Torre Guaceto”, soggetta alla speciale protezione dell’autorità, prosciugando lo stagno naturale, dopo aver già illecitamente realizzato su quel terreno e sull’adiacente particella 469 un tracciato viario carrabile delimitante un’area di sagoma rettangolare interessante uno sviluppo lineare di circa 300 metri per una larghezza di 3,50 metri ed un’altezza media di 15 centimetri, movimentato terreno tramite il suo spianamento sino ad arrivare all’arenile e spianato preesistenti dune costiere, in Brindisi fino al 29 gennaio 2019.
2. Il ricorrente impugna per cassazione l’ordinanza del Tribunale del riesame sulla base di due motivi: per violazione di legge, in relazione agli art. 19, comma 3, lett. b) e 30 L. n. 394 del 1991, 49 e 734 cod. pen., 42 Cost., e per violazione di legge, norme processuali e vizio di motivazione.
Precisa che, originariamente, i beni erano stati oggetto sia ,di un sequestro probatorio confermato dal Tribunale del riesame ed impugnato per cassazione, sia di un sequestro preventivo che aveva avuto un contenuto anche più ampio.
Già in sede di sequestro probatorio non era emersa alcuna alterazione delle acque del mare antistante alla proprietà privata. Dai prelievi effettuati sulle acque dell’ARPA Puglia era risultato che i valori dei parametri esaminati erano “compatibili con acqua stagnante salmastra e non evidenziavano criticità chimiche degne di nota”. Analogo risultato era stato registrato nel rapporto di prova successivo.
Pertanto, in assenza di qualunque tipo di alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche ed idrobiologiche delle acque dello specchio antistante la sua proprietà privata, non potevano ravvisarsi le ipotesi contestate del reato del capo A) e del capo B).
Ricorda che, ai fini dell’individuazione del fumus, non era sufficiente la mera ipotesi da parte del Pubblico ministero dell’esistenza del reato, ,essendo necessario portare in conto gli elementi offerti dalle parti; che l’anticipazione della soglia penale doveva essere valutata e coordinata con il principio di offensività del bene protetto; che il Tribunale del riesame aveva ritenuto che l’idoneità dell’azione discendeva già dal prosciugamento dello stagno nelle acque marine, argomento non pertinente rispetto al dettato della norma violata, che tutelava l’area marina protetta e che non aveva a che vedere con la proprietà privata.
Il prosciugamento riguardava la depressione del terreno agricolo e non l’area marina protetta. Con riferimento al reato di deturpamento delle bellezze naturali, il Tribunale del riesame non aveva tenuto conto del fatto che l’area depressa, successivamente al riempimento dell’acqua piovana, per la conformazione del terreno, faceva defluire l’acqua nel mare antistante, che lambiva la proprietà privata, o veniva assorbita lentamente dalla terra.
Tale depressione, per quanto accertato nella consulenza tecnica, non era classificata né tra le “zone umide ramsar” dei beni paesaggistici né tra le “aree umide” degli “ulteriori contesti paesaggistici” né rientrava tra le “aree di rispetto dei parchi e riserve regionali” né infine era interessata da un “reticolo idrografico di connessione RER”.
Erroneamente il Tribunale del riesame aveva ritenuto che l’area costituisse un habitat per la fauna, qualificandola impropriamente come laguna – stagno naturale, pur risultando dalle cartografie che non rientrava in alcun habitat.
In definitiva, osserva che la condotta ascritta aveva ad oggetto solo la riserva marina di Torre Guaceto e che il Tribunale del riesame aveva ritenuto sussistente la condotta illecita, pur dando atto che era soggetta a “riempimento ciclico” o in occasione di “straordinario afflusso di acqua piovana”.
Lamenta che nell’ordinanza non era stato esplicitato il periculum in mora, con particolare riguardo alle ragioni di concretezza ed attualità, enunciate solo in modo apodittico. Evidenzia che era stata illegittimamente compressa la proprietà, perché era stato imposto un vincolo su una superficie di oltre mq 40.000, mentre il collettamento era solo di m 35.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., avverso le misure cautelari reali, sequestro preventivo e probatorio, il ricorso per cassazione è ammissibile solo per violazione di legge, in tale nozione rientrando sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo” sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656).
Alla luce del cospicuo materiale indiziario a disposizione, il Tribunale del riesame ha reso una motivazione ampia e solida sia in ordine al fumus, ricostruendo nel dettaglio tutta la vicenda e valorizzando la circostanza che i consulenti del Pubblico ministero avevano affermato che l’obiettivo dell’indagato era quello di prosciugare lo stagno, sia in ordine al periculum, siccome la libera disponibilità dei terreni, soprattutto alla luce delle condotte poste in essere nel tempo, rendeva concreto ed attuale il rischio di aggravamento delle conseguenze di reati già in contestazione e di protrazione delle conseguenze della condotta illecita.
Va rilevato che il ricorrente è indagato per due reati, il primo previsto dalla legge speciale n. 394 del 1991, che all’art. 19 stabilisce che nelle aree protette marine sono vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell’area, essendo vietata in particolare l’alterazione dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque (lett. b), il secondo previsto dall’art. 734 cod. pen. relativo alla distruzione o deturpamento di bellezze naturali.
Rispetto al primo reato, nonostante le difese dell’indagato secondo il quale l’intervento di convogliamento a mare delle acque dell’area depressa presente nella sua proprietà non avrebbe alterato le caratteristiche delle acque dell’area marina protetta, il Tribunale del riesame ha ritenuto con motivazione non sindacabile in fatto in questa sede che il reato era integrato già per il solo prosciugamento-della depressione naturale e convogliamento delle acque in mare, a nulla rilevando che l’area di proprietà dell’indagato non fosse ricompresa nell’area marina protetta e l’operazione non avesse influito sulla qualità delle acque del mare.
Il punto focale è infatti costituito dall’alterazione delle caratteristiche dell’ambiente nel suo complesso per effetto delle opere realizzate.
Analogo ragionamento è stato condotto per il secondo reato, quello dell’art. 734 cod. pen., realizzato peraltro anche attraverso la movimentazione di terra e lo spianamento di dune costiere.
Nella valutazione del “fumus commissi delicti“, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice deve verificare la sussistenza di un concreto quadro indiziario, non potendosi limitare alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa, ma non ha. bisogno di motivare sui gravi indizi di colpevolezza come se si trattasse di una misura cautelare personale (tra le più recenti, Cass., Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv. 272927-01).
Il Tribunale del riesame ha assolto correttamente al suo obbligo.
Quanto al periculum, già l’art. 30, comma 3, L. n. 394 del 1991 contempla il sequestro preventivo delle aree nei casi di violazione degli art. 733 e 734. Tale circostanza non preclude tuttavia la possibilità di procedere comunque al sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321 cod. proc. pen., ove sussista il fumus della violazione di una delle disposizioni penali previste dalla legge citata (Cass., Sez. 3, n. 28736 del 27/04/2018, Faenza, Rv. 273306).
Nella specie, il Tribunale del riesame ha confermato un sequestro preventivo impeditivo, per il quale ha ben delineato gli elementi di concretezza ed attualità, in termini di ragionevole certezza che l’utilizzazione del bene consenta la commissione di ulteriori reati o l’aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede (tra le più recenti, la citata Cass., Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv 272927-02).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, l’11 settembre 2019
mercoledì 8 luglio 2020
Il DL Semplificazioni cancellerà la biodiversità in Italia
Il Governo lo ha presentato come un provvedimento green, ma in uno dei 48 articoli del nuovo Decreto Semplificazioni si potrebbe nascondere il definitivo colpo di spugna contro la tutela dell'ambiente e della biodiversità. A farci accapponare la pelle è l'articolo 47, recante «Piano straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano»: leggendo tra le righe, infatti, la vegetazione ripariale dei fiumi (che, caratterizzata da piante idrofile, riveste importante significato nella selvicoltura, nell'ecologia, nella gestione ambientale e nell'ingegneria civile a causa del suo ruolo nella conservazione del suolo, della biodiversità e dell'influenza che ha sugli ecosistemi acquatici) ed il sottobosco potrebbero scomparire del tutto (ma «salvo intese» con le Regioni).
Rrivolgiamo il nostro appello al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare affinchè il provvedimento venga modificato in quanto in palese contrasto gli articoli 3, 11 e da 191 a 193 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), nonchè con la direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (Direttiva Habitat), nonchè con la direttiva 2000/60/CE (Direttiva Quadro sulle Acque – DQA), nonchè con la Strategia Nazionale per la Biodiversità.
Decreto Semplificazioni, Articolo 47
(Piano straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano, interventi infrastrutturali irrigui e bacini di raccolta delle acque).
1. Al fine del miglioramento della funzionalità delle aree forestali ubicate nelle aree montane ed interne, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, previa intesa della Conferenza permanente tra lo Stato le Regioni e le Province autonome, elabora entro 180 giorni un programma straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano, in coerenza con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile fissati dall’ONU per il 2030 e del Green new deal europeo. Il programma straordinario è composto da due sezioni, la Sezione A e la Sezione B; la Sezione A contiene un elenco ed una descrizione di interventi selvicolturali intensivi ed estensivi, di prevenzione selvicolturale degli incendi boschivi, di ripristino e restauro di superfici forestali degradate o frammentate, secondo quanto previsto dall’articolo 7 del Decreto legislativo 3 aprile 2018 n 34 “Testo unico delle foreste e delle filiere forestali” da attuare da parte di imprese agricole e forestali su iniziativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e delle Regioni e province autonome. La Sezione B del programma è destinato al sostegno della realizzazione di piani forestali di area vasta di cui all’articolo 6 del Decreto legislativo 34 del 2018, nell’ambito di quadri programmatici regionali almeno decennali, che consentano di individuare le vocazioni delle aree forestali e organizzare gli interventi migliorativi e manutentivi nel tempo.
2. Nell’ambito del Parco progetti degli interventi irrigui del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro, con proprio decreto, approva un Piano straordinario di interventi prioritariamente esecutivi, di manutenzione, anche ordinaria, dei canali irrigui primari e secondari, di adeguamento funzionale delle opere di difesa idraulica, di interventi di consolidamento delle sponde dei canali o il ripristino dei bordi danneggiati dalle frane, di opere per la laminazione delle piene e regimazione del reticolo idraulico irriguo e individua gli Enti attuatori.
3. Il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di cui al comma 4, è adottato previa intesa espressa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e dispone il riparto delle risorse necessarie alla realizzazione degli interventi individuati, da attribuire alle Regioni e Province autonome, responsabili della gestione e della rendicontazione dei fondi.
4. I fondi assegnati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, per la realizzazione di opere infrastrutturali irrigue e di bonifica idraulica sulla base di una pianificazione nazionale, ad Enti irrigui con personalità di diritto pubblico o che svolgono attività di pubblico interesse, riconosciuti con le modalità di cui all’articolo 863 del codice civile, non possono essere sottoposte ad esecuzione forzata da parte dei terzi creditori di tali Enti nei limiti degli importi gravati dal vincolo di destinazione alle singole infrastrutture pubbliche. A tal fine l'organo amministrativo degli Enti di cui al primo periodo, con deliberazione adottata per ogni semestre, quantifica preventivamente le somme oggetto del vincolo. È nullo ogni pignoramento eseguito in violazione del vincolo di destinazione e la nullità è rilevabile anche d'ufficio dal giudice. La impignorabilità di cui al presente comma viene e meno e non è opponibile ai creditori procedenti qualora, dopo la adozione da parte dell'organo amministrativo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione delle somme oggetto del vincolo, siano operati pagamenti o emessi mandati per titoli di spesa diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'Ente stesso.
5. Al fine di portare a termine le opere di realizzazione di bacini di accumulo prevalentemente ad uso irriguo, non concluse per carenza di fondi, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali previa intesa espressa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, individua le opere il cui completamento è ammissibile a finanziamento ed il piano di riparto delle risorse necessarie.
6. Al tal fine, le Regioni e Province autonome, responsabili della gestione e della rendicontazione dei fondi, verificano che l’interruzione non sia avvenuta per colpevole comportamento dell’Ente attuatore, che su di esso non gravino procedure esecutive che possano pregiudicare la realizzazione dell’investimento distogliendo le risorse dall’investimento cui sono destinare e che la parte già realizzata dell’opera non sia ammalorata al punto da non consentire la messa a regime dell’intervento quando anche completato.
7. Agli oneri derivanti dal presente articolo pari a 100 milioni di euro per l’anno 2020, si provvede mediante riprogrammazione di una quota parte dei Fondi per lo sviluppo e la coesione per il ciclo di programmazione 2014-2020 del Piano Operativo Agricoltura 2014-2020 attraverso apposita Delibera CIPE e per gli oneri relativi agli anni 2021-2027, oggetto di successiva quantificazione, si fa fronte con le dotazioni messe a disposizione del Fondo sviluppo e coesione per il ciclo di programmazione post 2020.