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venerdì 27 novembre 2020

L'aviaria minaccia di nuovo la biodiversità in Europa

Da diversi mesi l'EFSA sollecitava i Paesi dell'UE a intensificare la sorveglianza e le misure di biosicurezza per prevenire possibili nuove epidemie di influenza aviaria quest’anno, a seguito di focolai di influenza ad alta patogenicità (HPAI) verificatisi tra gli uccelli selvatici e il pollame nella Russia occidentale e nel Kazakistan questa estate, esattamente lungo una rotta di migrazione autunnale degli uccelli acquatici diretti in Europa. 

Adesso il rischio che l'influenza aviaria si sposti a Paesi europei precedentemente non interessati da focolai è alto ed il virus si stia diffondendo rapidamente in tutto il continente: ad ottobre sono stati segnalati oltre 300 casi in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito. La maggior parte dei casi sono stati rinvenuti in uccelli selvatici, anche se ci sono stati alcuni focolai occasionali nel pollame che si teme possano con alta la probabilità diffondersi.

Distribuzione geografica dei rilevamenti di virus dell'influenza
aviaria ad alta patogenicità nell'UE  e nel Regno Unito
per categoria di uccelli colpiti, 19 novembre 2020 (n = 302)


Per fortuna finora non è stato segnalato alcun nuovo focolaio nell’uomo e il rischio di trasmissione al pubblico in genere resta molto basso. Tuttavia l'evoluzione di questi virus dev’essere monitorata attentamente per valutare il rischio concreto che emergano virus trasmissibili all'uomo.

I competenti enti nazionali sono stati pertanto esortati a continuare a esercitare opportuna sorveglianza sugli uccelli selvatici e sul pollame, e a mettere in atto misure di controllo per prevenire il contatto dell’uomo con uccelli infetti o morti. E' stato inoltre consigliato agli Stati membri di applicare nelle zone ad alto rischio le misure di attenuazione del rischio e di incremento della biosicurezza prescritte dalla Decisione di esecuzione (UE) 2018/1136 della Commissione.

Diffusione spaziale ipotetica del ceppo HPAI A (H5)
sulla base dei dati genetici attualmente disponibili



Le mani su Veio

Pubblichiamo la nota dei GRE LAZIO inviata all’Assessore Agricoltura, Promozione della Filiera e della Cultura del Cibo, Ambiente e Risorse Naturali della Regione Lazio il 26 novembre 2020.

OGGETTO: NOTE IN MERITO ALLA DESIGNAZIONE DELLA COMUNITA’ DEL PARCO DI VEIO. RICHIESTA CHIARIMENTI

Egregio Assessore,

esprimiamo viva preoccupazione per le incomprensibili pressioni che risulterebbero operate dagli uffici regionali sulla Comunità del Parco di Veio affinché vengano ritirate le legalissime designazioni effettuate in data 12 dicembre 2019, con presa d'atto del 24 febbraio 2020, per procedere a nuove designazioni sulla base di una normativa entrata in vigore solo il successivo 27 febbraio 2020 e che evidentemente non può avere effetti retroattivi come noto secondo le previsioni dell’ordinamento giuridico.

Vorremmo sapere se tale invito sia stato rivolto a tutti i sistemi di aree protette o ci sia una particolare attenzione nei confronti del Parco di Veio. Ed eventualmente per quali motivi.

Ci stupisce - secondo quanto si ipotizza - che la Regione possa distrarsi dal compito di monitorare se l'attività degli Enti gestori persegua adeguatamente le finalità di protezione e la normativa più generale, per intervenire senza vigenti presupposti di legge in merito alla nomina dei rappresentanti di garanzia del territorio, minando l'autonomia della Comunità del Parco ed esercitando pressioni in tal senso e violando il principio di leale collaborazione tra enti.

Sembrerebbe quasi che gli uffici regionali, anziché lavorare per colmare il gap di protezione da anni presente nella Regione Lazio ed evidenziato erga omnes dalle informazioni territoriali e ambientali rese disponibili dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, prestino il fianco a possibili strategie di controllo politico degli organi di governance delle aree naturali protette, operando interventi potenzialmente condizionanti in tal senso.

Non vorremmo che dietro tutto ciò si nascondessero altri propositi che solo con l'unanimismo possono essere realizzati: è per questo che le chiediamo di intervenire per verificare la correttezza amministrativa dell'operato della Direzione, per garantire l'autonomia delle Comunità, per far sì che al centro dell'azione degli uffici della Regione Lazio ci sia esclusivamente la tutela del territorio e dell'ambiente. 

Ai fini della trasparenza amministrativa si richiede inoltre di ricevere puntuali informazioni sulle modalità di tenuta e iscrizione dell’elenco delle associazioni ambientaliste presente presso la Direzione Capitale naturale, parchi e aree protette che possono completare, di volta in volta, le Comunità delle Aree Naturali Protette per finalizzare l’iscrizione ai sensi dell’articolo 16 della legge regionale del Lazio n. 29 del 1997.

Art. 16 (50) (Comunità)

1. I presidenti delle province, i sindaci dei comuni e i presidenti delle comunità montane o loro delegati nei cui territori sono ricomprese le aree naturali protette, costituiscono la comunità dell'area naturale protetta o del sistema delle aree naturali protette gestite unitariamente, ciascuno con responsabilità pari alla quota di partecipazione territoriale calcolata, nel rispetto di quanto previsto dal presente comma,  sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta regionale con propria deliberazione. La quota di partecipazione è definita con riferimento alla percentuale della superficie comunale compresa nell'area protetta nonché alla percentuale della quota di partecipazione del comune alla superficie complessiva dell'area protetta e non può comunque eccedere, per ciascun comune, il 49 per cento dell’intero organo collegiale. Alle province è riservata una quota complessiva pari ad un decimo; alle comunità montane una quota pari ad un decimo di quanto spetta complessivamente ai comuni che ne fanno parte. Fanno parte della comunità, altresì, quattro rappresentanti nominati dal Presidente della Regione, di cui due designati dalle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello regionale e altri due designati dalle associazioni ambientaliste a livello regionale, riconosciute ai sensi dell’articolo 13 della l. 349/1986 e successive modifiche, o iscritte nell’albo regionale del volontariato. Ai rappresentanti delle associazioni è riservata una quota di partecipazione fissa, non calcolata su criteri territoriali, pari a due centesimi ciascuno. (51)

lunedì 16 novembre 2020

Dieci anni di dieta mediterranea

Marocco, la presentazione della candidatura della dieta mediterranea
quale patrimonio immateriale dell'umanità dall'UNESCO.
Da sinistra in primo piano Francesco Ambrosio, Capo di gabinetto MiPAAF,
poi il rappresentante istituzionale del Marocco, il Sindaco di Chefchaouen,
Amilcare Troiano, presidente del Parco del Cilento
e Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica, ucciso in un attentato.


16 novembre 2010 - 16 novembre 2020

Dieci anni fa il comitato intergovernativo dell’UNESCO, riunitosi a Nairobi, iscrisse la dieta mediterranea nella prestigiosa lista del patrimonio immateriale e culturale dell’umanità.

Questo ambito e sofferto riconoscimento fu il frutto di un intenso e concertato lavoro svolto da quattro nazioni: Italia, Spagna, Grecia e Marocco che furono rappresentate dalle loro comunità emblematiche: Pollica - Cilento, Soria, Coroni e Chefchaouen.

Il momento determinante per proporre la candidatura dall’UNESCO avvenne il 13 marzo 2010 quando , in Marocco, i rappresentanti istituzionali delle quattro nazioni e delle comunità emblematiche sottoscrissero la dichiarazione di Chefchaouen, l'atto finale per ottenere il riconoscimento UNESCO.

Per l' Italia sottoscrissero il documento il dott. Francesco Ambrosio, capo gabinetto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il compianto Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, ed Amilcare Troiano, presidente del Parco nazionale del Cilento.

La dieta mediterranea, individuata dal prof. Ancel Keys, noto fisiologo e nutrizionista americano, che trascorse più di trenta anni a pioppi per studiare le abitudini alimentari, lo stile di vita ed i benefici che tale alimentazione apportava alle longeve popolazioni cilentane, nelle quali si riscontrava una bassa incidenza di malattie cardiovascolari, rappresenta un patrimonio culturale condiviso che si tramanda di generazione in generazione e che va salvaguardato e praticato.

Quindi non è solo un modello nutrizionale rimasto costante ed inalterato nel tempo e nei luoghi del mare nostrum, ma è soprattutto uno stile di vita che promuove le interazioni sociali, conserva e sviluppa le attività tradizionali ed i mestieri legati alla pesca ed alla agricoltura che si svolgono nel pieno rispetto dell'ambiente e della biodiversità come avviene in tante piccole comunità del mediterraneo dove le donne svolgono un ruolo particolarmente importante nella trasmissione dei rituali e delle conoscenze che identificano le comunità interessate e che variano dal paesaggio alla tavola.

A dieci anni di distanza possiamo affermare che la dieta mediterranea, patrimonio dell'umanità, rappresenta il valore aggiunto delle eccelse produzioni tipiche, del turismo naturalistico ed enogastronomico del nostro paese, nella consapevolezza che lo sviluppo sociale, culturale ed economico del territorio non può prescindere dalla valorizzazione delle sue identità e specificità che, mai come adesso, sono rappresentate anche dalla dieta mediterranea.

Amilcare Troiano

Responsabile nazionale AREE PROTETTE dei Gruppi Ricerca Ecologica

già presidente dei Parchi nazionali del Vesuvio e del Cilento.

domenica 1 novembre 2020

Tor Paterno, il tesoro marino di Roma

In pochi conoscono la straordinaria vita sottomarina delle Secche di Tor Paterno. Oggi vogliamo questa area marina protetta di 14 chilometri quadrati sita proprio davanti la spiaggia della splendida tenuta presidenziale di Castelporziano (ad una distanza di appena 4 miglia nautiche) attraverso le splendide foto che ci ha inviato in esclusiva Ilaria Panzironi del Blue Marlin Diving Center, il più grande centro di attrazione per l’attività subacquea e punto di riferimento per il litorale romano.

Le Secche di Tor Paterno sono l'unica Area Marina Protetta italiana completamente sommersa e non includente alcun tratto emerso di costa (e di cui i Gruppi Ricerca Ecologica hanno chiesto alla Regione Lazio l'ampliamento proprio a tutela e salvaguardia dell'ecosistema). Costituita da un'ampia formazione rocciosa, coperta da una sorprendente quantità di vita animale e vegetale, l'area rappresenta una vera e propria isola sul fondo del mar Tirreno, la cui sommità giunge a 18 metri sotto il livello del mare, mentre la profondità massima tocca i meno 60 metri, costituendo così una vera e propria "oasi" in grado di attirare moltissime specie ittiche. 

Ma, oltre a cavallucci marini, murene, polpi, cosa si cela in questo scrigno di biodiversità a due passi da Roma? Iniziamo con la fauna:

  • Corallo nero (Antipathes): un esacorallo, parente delle attinie, ma che non ha nessun valore commerciale. Le sue colonie, di un tenue colore giallo, si fissano spesso sugli scheletri di altre gorgonie, sia morte che vive, e possono raggiungere i due metri di altezza. E' una delle specie più rare presenti sulle Secche di Tor Paterno, ed è protetta dalle Convenzioni di Berna e di Barcellona.
  • Aquila di mare (Myliobatis aquila): parente di squali, mante e razze, sembra volare al di sopra dei fondali marini. Può giungere ad oltre un metro di larghezza ed è dotato di un aculeo velenoso, posto all’attaccatura della coda, pericoloso anche per l’uomo. Si nutre di molluschi ed è inoffensivo. Per le sue abitudini è vittima di cacciatori subacquei e della pesca a strascico.
  • Gorgonie (Alcyonacea): sono animali coloniali, parenti stretti del più famoso corallo rosso, ma a differenza di questo presentano uno scheletro corneo e quindi flessibile. Possono raggiungere dimensioni anche relativamente grandi e hanno colorazione e portamento diversi a seconda della specie. Nell'Area delle Secche si trovano frequentemente a partire dai 25 metri di profondità e raggiungono oltre mezzo metro d'altezza, principalmente le coloratissime specie Paramuricee e Eunicelle.
  • Margherita di mare (Parazoantus zoanthus axinellae): è un antozoo caratterizzato da un colore giallo intenso o aranciato, che cresce sia sul substrato roccioso sia su altri organismi, quali spugne, gorgonie e ascidie. Preferisce l’entrata di grotte o pareti poco illuminate, sempre in presenza di correnti. In condizioni favorevoli può ricoprire molti decimetri quadrati.
  • Tartaruga caretta (Caretta caretta): fortemente minacciata di estinzione, è l'unica specie a nidificare in Italia. Ha un carapace lungo 70-140 cm, con 5 placche dorsali centrali e 5 placche dorsal centrali e 5 placche su ogni lato; il colore è rosso-marrone e la testa è grande con un rostro ("becco") molto pronunciato. La sua dieta, onnivora, varia con l'età: plancton, poi meduse e prede del fondo (peci, molluschi, crostacei, ricci di mare).
  • Tartaruga verde (Chelonia mydas): ha un carapace lungo fino a 140 cm, più tondeggiante di Caretta, con 5 placche dorsali centrali e 4 placche costali per ogni lato. E' di colore marrone-verde oliva, spesso con chiarezze e strie più scure, e il rostro è poco pronunciato. Ha una dieta in genere erbivora in acqua basse e calde. E' comune lungo le coste nord-africane, dove nidifica.
  • Tartaruga Liuto (Dermochelys coriacea): lunga oltre 2 metri e con il peso di 500-800 kg, è l'indiscusso gigante tra i Cheloni. Inconfondibile è anche il carapace, in cui le piccole placche ossee sono impiantate nella pelle durissima, simile al cuoio e ornata da lunche carene, che ricordano un liuto. Si ciba di pesci e meduse, tra cui la velenosissima caravella portoghese, spesso in acque profonde (il record attuale è di circa 1280 m) e nidifica anch'essa sulle coste africane.
  • Tursiope (Tursiops truncatus): è il più conosciuto tra i delfini, che può giungere fino a tre metri e mezzo di lunghezza. Di colore generalmente grigio, più o meno uniforme, questo mammifero marino si incontra di tanto in tanto nelle acque dell'Area Marina Protetta in branchi composti da circa una decina di animali. La specie è protetta dalle Convenzioni di Berna, di Barcellona, dalla Direttiva Habitat e dalla legge italiana n. 157/92.

Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving
Secche di Tor Paterno
foto di Ilaria Panzironi - Blue Marlin Diving

La flora marina è invece costituita da Posidonia oceanica (L.) Delile, protetta ai sensi della Direttiva Habitat 92/43 CEE (habitat prioritario 1120): è caratterizzata da foglie di forma nastriforme che possono arrivare anche ad un metro di lunghezza, larghe un centimetro circa e che si originano dal un rizoma formando fasci di circa 5-8 foglie. Il rizoma, che rappresenta il fusto della pianta, si fissa al fondo per mezzo delle radici e può essere immerso nel sedimento marino o ancorarsi sulla roccia, formando vere e proprie praterie dalla superficie fino ai 40 m di profondità in acque limpide: le praterie di Posidonia oceanica vengono considerate tra i più rappresentativi e importanti ecosistemi costieri del Mediterraneo per la notevole importanza ecologica, in quanto costituiscono un complesso ecosistema dove trovano cibo e riparo numerosi organismi. Nel corso del XX secolo tuttavia questo habitat è andato incontro ad un notevole deterioramento, soprattutto in prossimità dei più importanti centri industriali e portuali. I fattori che ne hanno determinano la regressione sono numerosi e soprattutto di origine antropica, come la diminuzione della trasparenza dell’acqua, l’alterazione del regime sedimentario causato talvolta dal ripascimento delle spiagge, l’ancoraggio delle imbarcazioni, le attività di pesca a strascico, l’inquinamento e la competizione di specie algali invasive non indigene.

Per tali motivi, nell'Area marina protetta delle Secche di Tor Paterno sono vietate la pesca con sistemi ad alto impatto ambientale, la caccia subacquea, la navigazione non autorizzata, mentre l'Ente gestore Roma Natura ha regolamentato le attività subacquee e la pesca sportiva.

Ed ora ti va di giocare con noi? Componi il puzzle e scopri il simpatico amico... un aiutino: inizia con i pezzi laterali (quelli con un bordo liscio) e poi con i cuori:

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lunedì 19 ottobre 2020

I GRE invitati all'assemblea della Federparchi

L'avv. Amilcare Troiano, responsabile Parchi
e riserve naturali dei Gruppi Ricerca Ecologica
Importante appuntamento, giovedì 15 ottobre, quando  nel pieno rispetto del protocollo anti-Covid si è celebrata l'annuale assemblea della Federparchi, la Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve Naturali (Federparchi) che riunisce e rappresenta gli Enti gestori delle aree protette naturali italiane e che da giugno 2008 si è inoltre costituita quale sezione italiana di Europarc Federation.

E quest'anno erano presenti anche i Gruppi Ricerca Ecologica, grazie all'invito del presidente di Federparchi Giampiero Sammuri il quale ha speso bellissime parole nei confronti della nostra organizzazione, e di Amilcare Troiano che ne è il responsabile nazionale per le problematiche inerenti i Parchi e le riserve naturali.

L'avv. Troiano, tra l'altro, oltre ad essere stato Presidente prima del Parco nazionale del Vesuvio e poi del Parco nazionale del Cilento - Vallo di Diano e Alburni, è stato anche vice-presidente della Federparchi.

A monopolizzare il dibattito, l'ipotesi di una agenzia centralizzata per i parchi nazionali avanzata dal

Un momento dell'assemblea Federparchi
Ministero dell’Ambiente: il Presidente Sammuri ha ricordato come Federparchi storicamente sia sempre stata  contraria a qualunque ipotesi centralistica di gestione delle aree protette,  le cui governance devono essere espressione dei territori e delle comunità oltre che delle competenze tecnico-scientifiche, e anche noi Gruppi Ricerca Ecologica sposiamo in pieno questa tesi.

Il presidente si è comunque riservato un giudizio più  completo nel momento in cui la proposte sarebbe stata avanzata in forma più dettagliata dal Ministero competente. Sull’argomento la discussione è stata ricca ed ampia e l’orientamento unanime dell’assemblea è stato quello di respingere immediatamente qualunque ipotesi di interventi centralistici che  potrebbero determinare un  enorme salto indietro riportando le lancette dell’orologio addirittura a prima del varo della legge quadro 394. 

giovedì 8 ottobre 2020

I GRE bloccano lo "Sblocca Italia" e lo "sblocca discariche"!

Abbiamo il piacere di comunicarvi che la cooperazione tra associazioni ha portato i suoi buoni frutti.

Il primo grande risultato è quello ottenuto dal Coordinamento Nazionale per l'Ambiente a cui aderiscono i Gruppi Ricerca Ecologia e che ha come capofila l'associazione Raggio Verde.

Anche grazie all'intervento del Coordinamento, che ha svolto un'importante azione di sensibilizzazione nei confronti delle istituzioni, Regioni e Commissioni Ambiente della Camera e del Senato, si è riusciti a scongiurare una pericolosissima modifica che era stata elaborata in un atto governativo di modifica al decreto legislativo 36/2003 sulle discariche (Atto di Governo n. 168), con la quale si sarebbe voluto introdurre, nei criteri per la costruzione delle discariche, il pericolosissimo principio di equivalenza dell'imprescindibile barriera geologica naturale ad una barriera artificiale, con il rischio di futuri disastri ambientali e procedure d'infrazione. 

Molti imprenditori del settore stavano già brindando a questa modifica che invece, anche grazie all'intervento del Coordinamento che ha trovato terreno fertile nelle Commissioni parlamentari e nella Conferenza Stato Regioni, che hanno dato parere negativo e per questo si ringraziano, è stata eliminata dal testo governativo finale.

Ancora, il proficuo lavoro coordinato effettuato da Raggio Verde, GRE e Comitato Residenti Colleferro, iniziato nel 2016 con un ricorso al TAR, ha portato alla sentenza n.10092/2016 che ha annullato per la mancata effettuazione della necessaria Valutazione Ambientale Strategica il DPCM del 10 Agosto 2016 di attuazione del D.L. 133/2014 “Sblocca Italia” che individua gli inceneritori come infrastrutture strategiche.

Anche il Forum Ambientalista ha impugnato il predetto DPCM e ottenuto il relativo annullamento.

Non è un risultato risolutivo pari a quello raggiunto dal Coordinamento Nazionale per l'Ambiente, atteso che il vizio rilevato dal TAR è sempre emendabile, ma comunque una battaglia è stata vinta.

Il nostro lavoro è stato dunque efficace e soprattutto il nostro approccio non è stato divisivo.

Queste due esperienze ci insegnano che solo con una collaborazione che si fondi sul rispetto reciproco, anche nelle differenze, si possono ottenere grandi risultati!

Avanti tutta, per l'ambiente!!!

Presto il Coordinamento Nazionale per l'Ambiente partirà per una nuova  avventura! 


Ma leggiamo l'importantissima sentenza 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 14469 del 2016, proposto da Gruppi Ricerca Ecologica e Associazione di Promozione Sociale Raggio Verde, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Vittorina Teofilatto, Daniela Terracciano e Alessandro Di Matteo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via delle Milizie, 1;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso cui domiciliano “ex lege” in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 2016 pubblicato sulla G.U. n. 233 del 5.10.2016 "Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno N. 14469/2016 REG.RIC. residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati".

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con la relativa documentazione;

Vista l’ordinanza collegiale di questa Sezione n. 5109/2018 dell’8.5.2018;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti l’art. 84 d. l. n. 18/2020, conv. in l. n. 27/2020, e l’art. 4 d.l. n. 28/2020, conv. in l. n. 70/2020;

Relatore nell'udienza del giorno 20 luglio 2020, tenutasi in collegamento da remoto in videoconferenza, il dott. Ivo Correale come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con rituale ricorso a questo Tribunale, le associazioni in epigrafe chiedevano l’annullamento del d.p.c.m. 10 agosto 2016, adottato in esecuzione di quanto indicato nell’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 164/2014, avente ad oggetto “Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati”;

Le ricorrenti, in sintesi, con un articolato motivo di ricorso, lamentavano la violazione di varie norme nazionali e comunitarie (art. 3, comma 2, lett. a), Direttiva 2001/42/CE, artt. 1 e 7 Convenzione di Aarhus, art. 4 Direttiva 2008/98/CE, artt. 3 quater, 6, comma 1, lett. a), 29 septies, 177, 178, 179 e 181, d.lgs. n. 152/06, artt. 32, 97 e 117 Cost.), oltre a diverse figure sintomatiche di eccesso di potere, perché non era stata previamente effettuata la necessaria Valutazione Ambientale Strategica (VAS), pur avendo il dpcm impugnato effetti diretti sull’ambiente mediante un massiccio ricorso alla pratica dell’incenerimento dei rifiuti. Inoltre, non era stata consentita la partecipazione procedimentale, risultava violato il principio della c.d. “gerarchia dei rifiuti”, di matrice comunitaria, risultava incrementato il numero di impianti di incenerimento, era stato riconosciuto a questi ultimi un ruolo di interesse strategico per assolvere al relativo “fabbisogno”, era stata effettuata un’istruttoria poco approfondita e vi era stata carenza di motivazione in ordine alle scelte effettuate, orientate non a privilegiare riciclo e riuso dei rifiuti ma solo il loro smaltimento.

Si costituivano in giudizio le Amministrazioni indicate in epigrafe, per resistere al ricorso.

Le parti ricorrenti, in prossimità della trattazione di merito, depositavano una memoria a ulteriore illustrazione delle proprie tesi; 

All’esito della pubblica udienza del 28 febbraio 2018, questa Sezione pronunciava l’ordinanza collegiale in epigrafe, con la quale sospendeva il giudizio ai sensi degli artt. 79, comma 1, c.p.a. e 295 c.p.c., in virtù di altra ordinanza pronunciata in diverso giudizio di contenuto analogo - in decisione alla medesima udienza pubblica – con cui la medesima Sezione aveva disposto la rimessione alla Corte di Giustizia UE di questioni pregiudiziali, ai sensi dell’art. 267 TFUE, vertenti proprio sulla compatibilità con la normativa dell’Unione e sull’interpretazione alla luce dei principi comunitari vigenti del su richiamato art. 35 e, quindi, dell’impugnato (anche in quella sede) dpcm, sia sotto il profilo della necessità di una previa VAS sia sotto il profilo del mancato rispetto del principio della “gerarchia dei rifiuti”, come lamentato in questa sede, risultando la questione pregiudiziale richiamata rilevante ai fini del presente contenzioso per decidere sulle censure in esso prospettate.

In particolare, erano sottoposte al vaglio della Corte UE le seguenti questioni:

“(1) Dica la Corte di Giustizia UE se gli artt. 4 e 13 della [direttiva "rifiuti"], unitamente ai "considerando" 6, 8, 28 e 31 [della medesima direttiva], ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione - quali l'art. 35, comma 1, [del D.L. n. 133 del 2014], e il [decreto del 10 agosto 2016] - laddove qualificano solo gli impianti di incenerimento ivi considerati secondo l'illustrazione degli Allegati e delle Tabelle di cui al [decreto del 10 agosto 2016] quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, che attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati e che garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, dato che una simile qualificazione non è stata parimenti riconosciuta dal legislatore interno agli impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, pur essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti di cui alla richiamata [direttiva "rifiuti"].

(2) In subordine, se non osta quanto sopra richiesto, dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 4 e 13 della [direttiva "rifiuti"] ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione - quali l'art. 35, comma 1, [del D.L. n. 133 del 2014], e il [decreto del 10 agosto 2016] - laddove qualificano gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, allo scopo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, oltre che al fine di limitare il conferimento di rifiuti in discarica.

(3) Dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della [direttiva V.], anche in combinato disposto tra loro, ostino all'applicazione di una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione - quali l'art. 35, comma 1, [del D.L. n. 133 del 2014], e il [decreto del 10 agosto 2016] - la quale prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa con proprio decreto rideterminare in aumento la capacità degli impianti di incenerimento in essere nonché determinare il numero, la capacità e la localizzazione regionale degli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo determinato, con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, senza che tale normativa interna preveda che, in fase di predisposizione di tale piano emergente dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, si applichi la disciplina di valutazione ambientale strategica così come prevista dalla richiamata [direttiva V.]".

In merito, la Sezione VI della Corte, con sentenza 8 maggio 2019 in C-305/18, dopo articolata motivazione, concludeva nel senso che segue:

“1) Il principio della "gerarchia dei rifiuti", quale espresso all'articolo 4 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, e letto alla luce dell'articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come "infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale", purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici.

2) L'articolo 2, lettera a), l'articolo 3, paragrafo 1, e l'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di "piani e programmi", ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull'ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva.”

Riassunta la causa con rituali modalità, la stessa era chiamata alla nuova udienza di merito del 22 aprile 2020, in prossimità della quale – ove le ricorrenti avevano depositato una memoria riassuntiva sulla base delle conclusione della Corte UE - parte resistente formulava istanza di rinvio e rimessione in termini, ex art. 84 co. 5 d.l. 18/20.

Disposto rinvio al 20 luglio 2020, le Amministrazioni depositavano una memoria illustrativa e in tale data la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio ritiene opportuno riportare quanto illustrato in motivazione dalla Corte di Giustizia nella suddetta sentenza.

“…Occorre ricordare che l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva "rifiuti" dispone che "[l]a (...) gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e e) smaltimento".

28 Tale disposizione, che stabilisce la gerarchia dei rifiuti quale dev'essere attuata nella normativa e nella politica in materia di prevenzione e gestione di rifiuti, non consente di concludere che si dovrebbe preferire un sistema che permetta ai produttori di rifiuti di provvedere personalmente al loro smaltimento. Lo smaltimento dei rifiuti, infatti, figura soltanto all'ultimo posto di tale gerarchia (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2014, S., C-551/13, EU:C:2014:2467, punto 44).

29 Occorre aggiungere che la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione.

30 Così, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva "rifiuti", nell'attuare il principio della "gerarchia dei rifiuti", gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo. A tal fine può essere necessario che flussi di rifiuti specifici si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall'impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti. 

31 Peraltro, secondo l'articolo 13 della direttiva "rifiuti", gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana e senza recare pregiudizio all'ambiente, in particolare senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la flora o la fauna.

32 A tale riguardo, la Corte ha già dichiarato che, sebbene il citato articolo 13 non precisi il contenuto concreto delle misure che debbono essere adottate per assicurare che i rifiuti siano in tal modo gestiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente, ciò non toglie che detto articolo vincoli gli Stati membri circa l'obiettivo da raggiungere, pur lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità di tali misure (sentenza del 6 aprile 2017, Commissione/Slovenia, C-153/16, non pubblicata, EU:C:2017:275, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

33 Nel caso di specie, il fatto che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come "infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale" non significa che il legislatore nazionale abbia ritenuto di non seguire le indicazioni derivanti dal principio della "gerarchia dei rifiuti", quale previsto dalla direttiva "rifiuti".

34 Infatti, da un lato, come convengono le ricorrenti nel procedimento principale, detta qualificazione nazionale è applicabile solo a tali impianti. 

35 Ebbene, il fatto che una normativa nazionale qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come "prioritari" non può significare che le relative operazioni di trattamento siano dotate delle medesime qualità e, di conseguenza, che dette operazioni si vedano attribuire un qualsiasi grado di priorità rispetto alle altre operazioni di prevenzione e gestione dei rifiuti.

36 Dall'altro lato, come sostiene il governo italiano, siffatta qualificazione mira a snellire e a facilitare lo svolgimento della procedura di autorizzazione al fine di ovviare alla mancanza di una adeguata rete nazionale di gestione dei rifiuti, constatata nelle precedenti sentenze della Corte del 26 aprile 2007, Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250), del 14 giugno 2007, Commissione/Italia (C-82/06, non pubblicata, EU:C:2007:349), del 4 marzo 2010, Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), del 15 ottobre 2014, Commissione/Italia (C-323/13, non pubblicata, EU:C:2014:2290), del 2 dicembre 2014, Commissione/Italia (C-196/13, EU:C:2014:2407) nonché del 16 luglio 2015, Commissione/Italia (C-653/13, non pubblicata, EU:C:2015:478). 

37 A tale riguardo, come risulta dall'articolo 260, paragrafo 1, TFUE, quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosce che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta.

38 Infine, sebbene spetti agli Stati membri scegliere la modalità più adeguata per rispettare il principio della "gerarchia dei rifiuti", essi devono tuttavia conformarsi alle altre disposizioni di tale direttiva che prevedono obblighi più specifici.

39 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che il principio della "gerarchia dei rifiuti", quale espresso all'articolo 4 della direttiva "rifiuti" e letto alla luce dell'articolo 13 di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che qualifica gli impianti di incenerimento dei rifiuti come "infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale", purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici.

Sulla terza questione

40 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva V. debba essere interpretata nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di "piani e programmi", ai sensi di tale direttiva, che può avere effetti significativi sull'ambiente e che deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva. 

41 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la normativa nazionale di cui al procedimento principale ha lo scopo di incrementare le capacità di funzionamento di 40 impianti di incenerimento dei rifiuti su 42 impianti esistenti e operativi nel territorio dello Stato membro in questione, nonché di creare nuovi impianti di tale tipo. Siffatta normativa nazionale attua le scelte strategiche di uno Stato membro in materia di recupero o di smaltimento dei rifiuti, quali il calcolo del fabbisogno residuo nazionale nella misura di 1 818 000 tonnellate/anno e la ripartizione di quest'ultimo in macroaree, l'aumento dell'attività degli impianti esistenti fino all'esaurimento della rispettiva capacità autorizzata, nonché la localizzazione regionale dei nuovi impianti.

42 Occorre chiarire se una tale normativa rientri nell'ambito di applicazione della direttiva V.

43 A tale riguardo, l'articolo 3 della direttiva prevede che taluni piani o programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente devono essere sottoposti ad una valutazione ambientale.

44 L'articolo 2, lettera a), della direttiva V. definisce i "piani e programmi" cui essa fa riferimento come quelli che soddisfano due condizioni cumulative, vale a dire, da un lato, che essi siano elaborati e/o adottati da un'autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un'autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, dal parlamento o dal governo e, dall'altro, che siano previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.

45 La Corte ha interpretato tale disposizione nel senso che devono essere considerati "previsti", ai sensi e ai fini dell'applicazione della direttiva V., e pertanto soggetti a valutazione ambientale alle condizioni ivi fissate, i piani e i programmi la cui adozione sia disciplinata da disposizioni legislative o regolamentari nazionali, le quali determinino le autorità competenti per adottarli nonché la loro procedura di elaborazione (sentenza del 7 giugno 2018, InterEnvironnement Bruxelles e a., C-671/16, EU:C:2018:403, punto 37, nonché giurisprudenza ivi citata).

46 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che il decreto del 10 agosto 2016 soddisfa tali due condizioni, essendo stato adottato dal presidente del Consiglio, sulla base dell'articolo 35 del D.L. n. 133 del 2014.

47 Occorre aggiungere che, in forza dell'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva V., sono soggetti ad una valutazione ambientale sistematica i piani e i programmi elaborati per determinati settori e che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 2012, L 26, pag. 1; in prosieguo: la direttiva "VIA"), che ha abrogato la direttiva 85/337.

48 A tale riguardo, in primo luogo, rientra tra i settori considerati da tale disposizione la gestione dei rifiuti, cosicché il primo di tali criteri è soddisfatto. 

49 In secondo luogo, gli impianti di smaltimento dei rifiuti mediante incenerimento e le loro modifiche o estensioni sono previsti ai punti 9, 10 e 24 dell'allegato I della direttiva VIA, nonché, quando non rientrano nelle categorie sopra menzionate, al punto 11, lettera b), dell'allegato II della direttiva VIA.

50 Per quanto attiene alla questione se una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, definisca il quadro di riferimento per la successiva autorizzazione di progetti, va ricordato che secondo una giurisprudenza costante la nozione di "piani e programmi" si riferisce a qualsiasi atto che fissi, definendo norme e procedure di controllo applicabili al settore interessato, un insieme significativo di criteri e di modalità per l'autorizzazione e l'attuazione di uno o più progetti idonei ad avere un impatto notevole sull'ambiente (sentenze del 27 ottobre 2016, D'Oultremont e a., C-290/15, EU:C:2016:816, punto 49; del 7 giugno 2018, Inter-Environnement Bruxelles e a., C-671/16, EU:C:2018:403, punto 53, e del 7 giugno 2018, T. e a., C - 160/17, EU:C:2018:401, punto 54).

51 A tale riguardo, l'espressione "insieme significativo di criteri e di modalità" va intesa in maniera qualitativa. Occorre infatti evitare possibili strategie di elusione degli obblighi enunciati dalla direttiva V. attuate con la frammentazione dei provvedimenti, la quale ridurrebbe l'effetto utile della direttiva stessa (sentenze del 7 giugno 2018, Inter-Environnement Bruxelles e a., C-671/16, EU:C:2018:403, punto 55, nonché del 7 giugno 2018, T. e a., C-160/17, EU:C:2018:401, punto 55).

52 Siffatta interpretazione della nozione di "piani e programmi", che include non solo la loro elaborazione, ma anche la loro modifica, mira a garantire che prescrizioni che possono produrre effetti significativi sull'ambiente siano soggette ad una valutazione ambientale (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2018, InterEnvironnement Bruxelles e a., C-671/16, EU:C:2018:403, punti 54 e 58).

53 Spetta al giudice del rinvio, alla luce della giurisprudenza citata ai punti da 50 a 52 della presente sentenza, verificare se una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale definisca il quadro di riferimento per la successiva autorizzazione di progetti.

54 Volendo supporre che ciò avvenga, si deve constatare che tale normativa, il cui oggetto è richiamato al punto 41 della presente sentenza, può avere effetti significativi sull'ambiente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

55 Inoltre, come suggerito dal medesimo giudice, l'incremento delle capacità di funzionamento degli impianti di incenerimento dei rifiuti autorizza a dubitare della sufficienza delle valutazioni precedentemente effettuate ai fini dell'autorizzazione alla messa in funzione degli impianti di incenerimento esistenti.

56 Peraltro, il fatto che una valutazione ambientale ai sensi della direttiva V. verrà realizzata successivamente, al momento della pianificazione a livello regionale, è irrilevante ai fini dell'applicabilità delle disposizioni relative a una tale valutazione. Infatti, una valutazione dell'impatto ambientale effettuata a norma della direttiva VIA non può dispensare dall'obbligo di effettuare la valutazione ambientale prescritta dalla direttiva V. allo scopo di rispondere ad aspetti ambientali ad essa specifici (sentenza del 7 giugno 2018, T. e a., C-160/17, EU:C:2018:401, punto 64).

57 Inoltre, e in ogni caso, non può essere accolta l'obiezione formulata dal governo italiano secondo la quale, dal momento che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale costituisce solo un quadro di riferimento, non sarebbe soddisfatta la seconda condizione di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva V. Infatti, la circostanza che una normativa nazionale presenti un certo livello di astrazione e persegua un obiettivo di trasformazione del quadro esistente costituisce un'illustrazione della sua dimensione programmatica o pianificatrice e non osta alla sua inclusione nella nozione di "piani e programmi" (sentenza del 7 giugno 2018, Inter-Environnement Bruxelles e a., C-671/16, EU:C:2018:403, punto 60 nonché giurisprudenza ivi citata).

58 Una siffatta interpretazione è avvalorata, da un lato, dai dettami risultanti dall'articolo 6 della direttiva V., letto alla luce dei considerando da 15 a 18 di quest'ultima, poiché tale direttiva è diretta non soltanto a contribuire alla tutela dell'ambiente, ma anche a consentire la partecipazione del pubblico all'iter decisionale. Dall'altro lato, come risulta dall'articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, "[l]a valutazione ambientale (...) deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa". Allo stesso modo, risulta dall'articolo 6, paragrafo 2, di detta direttiva che la valutazione ambientale dovrebbe essere effettuata il più presto possibile, affinché i suoi risultati possano ancora incidere su eventuali decisioni. È proprio in questa fase, infatti, che le diverse opzioni possono essere analizzate e le scelte strategiche essere compiute [v., in tal senso, sentenze del 20 ottobre 2011, Seaport (NI) e a., C-474/10, EU:C:2011:681, punto 45, nonché del 7 giugno 2018, Inter-Environnement Bruxelles e a., C-671/16, EU:C:2018:403, punto 63].

59 Alla luce di tali elementi, dei quali spetta al giudice del rinvio valutare l'effettività e la portata in considerazione della normativa in questione, si deve considerare che una normativa nazionale che incrementi la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che realizzi nuovi impianti di tale natura, come quella di cui al procedimento principale, può rientrare nella nozione di "piani e programmi" ai sensi dell'articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva V. e vada sottoposta ad una valutazione ambientale. 

60 Ne consegue che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l'articolo 2, lettera a), l'articolo 3, paragrafo 1, e l'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), della direttiva V. devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di "piani e programmi", ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull'ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva.” 

Procedendo all’esame della prima doglianza relativa alla mancata previsione di una VAS “ex ante”, se ne rileva la fondatezza anche alla luce di quanto chiarito dai giudici eurounitari.

Si rammenta che la disciplina nazionale sulla VAS è rinvenibile nel d.lgs. n. 152/2006 e, in particolare, negli artt. 5 e 6 applicabili “pro tempore”.

L’art. 5, sulle definizioni, precisava che “Ai fini del presente decreto si intende per:

a) valutazione ambientale di piani e programmi, nel seguito valutazione ambientale strategica, di seguito VAS: il processo che comprende, secondo le disposizioni di cui al titolo II della seconda parte del presente decreto, lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione ed il monitoraggio…c) impatto ambientale: l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti…”.

Il successivo art. 6, per quel che rileva, disponeva che: “1. La valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale.

2. Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi:

a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto;

b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni. 

3. Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l'autorità competente valuti che producano impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento.

3-bis. L'autorità competente valuta, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12, se i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti, producano impatti significativi sull'ambiente.”

L’art. 7 indicava, al comma 1, che “Sono sottoposti a VAS in sede statale i piani e programmi di cui all'articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete ad organi dello Stato”.

Il successivo art. 11 indicava le modalità di svolgimento e specificava, al comma 5, che “La VAS costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge.”

Sullo specifico quesito posto alla sua attenzione, la Corte UE, come sopra riportato, ha precisato che gli artt. 2, lett. a), 3, paragrafo 1, e paragrafo 2, lett. a), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001 (“direttiva”), concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, devono essere interpretati nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, costituita da una normativa di base e da una normativa di esecuzione, che determina in aumento la capacità degli impianti di incenerimento dei rifiuti esistenti e che prevede la realizzazione di nuovi impianti di tale natura, rientra nella nozione di "piani e programmi", ai sensi di tale direttiva, qualora possa avere effetti significativi sull'ambiente e deve, di conseguenza, essere soggetta ad una valutazione ambientale preventiva.

La Corte, sul punto, ha rilevato che le disposizioni di cui al giudizio di rinvio erano volte a incrementare le capacità di funzionamento di quaranta impianti di incenerimento dei rifiuti su quarantadue esistenti e operativi nel territorio italiano, nonché a creare nuovi impianti di tale tipo.

Inoltre, ammettendo la competenza statale in argomento, la Corte ha precisato che la nozione di "piani e programmi" si riferisce a qualsiasi atto che fissi, definendo norme e procedure di controllo applicabili al settore interessato, un insieme significativo di criteri e di modalità per l'autorizzazione e l'attuazione di uno o più progetti idonei ad avere un impatto notevole sull'ambiente.

In più, l'espressione “insieme significativo di criteri e di modalità” deve essere intesa in maniera qualitativa, nel senso che occorre evitare possibili strategie di elusione degli obblighi enunciati dalla direttiva e attuate con la frammentazione di provvedimenti, che ridurrebbe l'effetto utile della direttiva stessa. 

Pur lasciando al giudice del rinvio la considerazione sull’effettivo impatto ambientale in concreto, la Corte ha osservato che l'incremento delle capacità di funzionamento degli impianti di incenerimento dei rifiuti autorizza a dubitare della sufficienza delle valutazioni precedentemente effettuate ai fini dell'autorizzazione alla messa in funzione degli impianti di incenerimento esistenti.

Il fatto che una valutazione ambientale ai sensi della direttiva in esame – ha aggiunto la Corte - sarà realizzata successivamente, al momento della pianificazione a livello regionale, è irrilevante ai fini dell'applicabilità delle disposizioni relative a una tale valutazione, dato che una valutazione dell'impatto ambientale effettuata a norma della “direttiva VIA” non può dispensare dall'obbligo di effettuare la valutazione ambientale prescritta dalla direttiva in esame, allo scopo di rispondere ad aspetti ambientali ad essa specifici.

Né poteva essere accolta l'obiezione formulata dal governo italiano secondo la quale, dal momento che la normativa nazionale di cui trattasi nel presente procedimento costituisce solo un quadro di riferimento, non sarebbe soddisfatta la seconda condizione di cui all'articolo 3, paragrafo 2, lett. a), della direttiva in esame. Infatti – spiega la Corte - la circostanza che una normativa nazionale presenti un certo livello di astrazione e persegua un obiettivo di trasformazione del quadro esistente costituisce un'illustrazione della sua dimensione programmatica o pianificatrice ma non osta alla sua inclusione nella nozione di "piani e programmi".

Tale direttiva, infatti, è diretta non soltanto a contribuire alla tutela dell'ambiente, ma anche a consentire la partecipazione del pubblico all'”iter” decisionale, tant’è, come risulta dal relativo art. 4, paragrafo 1, che la valutazione ambientale deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa e così risulta pure dall'articolo 6, paragrafo 2, per il quale la valutazione ambientale dovrebbe essere effettuata il più presto possibile, affinché i suoi risultati possano ancora incidere su eventuali decisioni: proprio e solo in questa fase, infatti, le diverse opzioni possono essere analizzate e le scelte strategiche essere compiute.

Premesso ciò e secondo l’invito della Corte, questo Collegio, quale giudice del rinvio, ritiene che nel caso di specie doveva essere necessaria la previsione di una VAS, proprio per l’incisione con effetti significativi sull’ambiente che il dcpm impugnato apporta.

La previsione in aumento delle modalità di incenerimento, pur con il fine sopra evidenziato, indubbiamente dà luogo a insieme significativo di criteri e modalità per l’autorizzazione e l’attuazione di più progetti idonei ad avere un impatto notevole sull’ambiente, anche se relativi a impianti preesistenti. 

In merito non possono trovare condivisione le difese delle Amministrazioni costituite.

Per quanto riguarda il richiamo al carattere ricognitivo che dovrebbe essere riconosciuto al dpcm, il Collegio osserva che esso comunque (nel relativo Allegato I) ridetermina la capacità di trattamento dei rifiuti in quaranta impianti di incenerimento in essere su quarantadue già esistenti sul territorio nazionale (di cui alla Tabella A a cui si rimanda), facendo sì che tutti gli impianti di aumentino l’attività fino al massimo della rispettiva capacità come autorizzata. Inoltre, è prevista la riclassificazione degli impianti esistenti, da di tipo “D10” (“Smaltimento”) a tipo “R1” (Recupero di energia”), con evidenti effetti sull’ambiente.

Tutto ciò senza tenere conto che, ad ogni modo, come osservato da parte ricorrente, nessun carattere ricognitivo può individuarsi rispetto ai nuovi impianti, per i quali nessuna VAS poteva e può essere evidentemente affidata agli Enti territoriali, dato che l’attivazione della procedura di assoggettabilità alla VAS nel caso di specie è di competenza statale, per quanto sopra evidenziato, inoltre, se pure una VAS era stata effettuata, valeva per impianti classificati “D10” e non “R1”.

Sostengono, altresì, le Amministrazioni costituite che la qualificazione astrattamente programmatica del dpcm in questione consentirebbe in sede regionale la valutazione ambientale in sede di concreta attuazione ma tale argomento – oltre a essere stato stigmatizzato dalla stessa Corte nei passaggi motivazionali sopra riportati e a cui si rimanda – non tiene conto della dirimente osservazione dei giudici UE, che hanno fatto chiaro riferimento al fatto che una Valutazione ambientale “postuma”, a livello regionale come vorrebbero le Amministrazioni costituite, di fatto preclude(rebbe) la partecipazione di tutti i soggetti interessati, pubblici e privati, eludendo proprio uno degli “effetti utili” della direttiva, quale quello della partecipazione dei territori e dei soggetti interessati agli effetti ambientali significativi e non trascurabili che l’aumento immediato della capacità di incenerimento degli impianti già attivi o l’apertura di nuovi indubbiamente determina (si dà luogo, come evidenziato dalla stessa difesa erariale a ulteriori 1,8 milioni di tonnellate di incenerimento).

Per tale ragione la stessa Corte ha insistito sulla necessità di una “previa” verifica ambientale sotto forma della VAS, la quale, evitando l’elusione di una “democrazia partecipativa dal basso” – come definita da parte ricorrente - avrebbe potuto, con osservazioni e suggerimenti tecnici, orientare l’Autorità nazionale nel procedimento stesso.

In sostanza, quindi, se pure era consentito qualificare gli impianti in questione come di rilevanza strategica nazionale ai fini di soluzione temporanea di una patologica situazione sulla gestione dei rifiuti, data dalla prevalenza dello smaltimento in discarica, riguardante tutto il territorio nazionale senza per questo abdicare al principio di “gerarchia dei rifiuti” – come illustrato a proposito del primo motivo di ricorso - la P.C.M. avrebbe dovuto comunque provvedere ad attivare la procedura di assoggettabilità alla VAS prima dell’emanazione del dpcm attuativo qui impugnato e non lasciare alla diversa Valutazione regionale postuma l’incombenza relativa.

Alla luce di quanto dedotto, pertanto, il ricorso deve essere accolto sotto il profilo appena descritto.

Per quanto riguarda gli ulteriori profili del ricorso, si osserva quanto segue. 

Il Collegio rileva che la stessa ha chiarito che la gerarchia dei rifiuti costituisce un obiettivo che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità, non obbligando questi ultimi ad optare per una specifica soluzione di prevenzione e gestione. In particolare, i giudici di Lussemburgo hanno anche precisato che, nel caso di specie, il fatto che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, qualifichi gli impianti di incenerimento dei rifiuti come "infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale" non significa che il legislatore nazionale abbia ritenuto di non seguire le indicazioni derivanti dal principio della "gerarchia dei rifiuti", quale previsto dalla direttiva richiamata, purché tale normativa sia compatibile con le altre disposizioni di detta direttiva che prevedono obblighi più specifici.

Avendo demandato tale verifica al giudice del rinvio e preso atto che la normativa richiamata “non osta” in quanto tale a quella nazionale evidenziata, il Collegio rileva che, dal contenuto del dpcm impugnato, si evince che lo stesso ha avuto modo di individuare il fabbisogno di incenerimento nazionale necessario a chiudere il ciclo dei rifiuti, evitando il massiccio ricorso al conferimento in discarica, e tale necessità era effettiva anche in relazione all’esigenza di facilitare le procedure di autorizzazione per implementare una adeguata rete nazionale di gestione dei rifiuti, la cui essenza deficitaria era stata constatata in precedenti sentenze della medesime Corte, necessariamente da eseguire.

La considerazione del “ciclo dei rifiuti” come tale e della sua “gerarchia” emerge dal fatto che il dpcm ha considerato anche la prevenzione e gli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio – di cui alla proposta europea sull’economia circolare (con riciclaggio almeno al 65%) - le quantità di rifiuti avviate a coincenerimento nei cementifici e nelle centrali elettriche e il trattamento dei rifiuti negli impianti di trattamento meccanico biologico, come illustrato nelle difese erariali in questa sede.

Il metodo è stato quello di confrontare l’esistente con il fabbisogno stimato con riferimento a ogni regione, con conseguente compensazione in “macroaree”, così da consentire ai rifiuti residui di una regione di essere inceneriti eventualmente in regioni limitrofe, considerando l’intero sistema di gestione operante nello territorio nazionale. In tal modo si è cercato di contenere la realizzazione di nuovi impianti nel contempo rispettando le determinazioni della Corte di cui alle precedenti sentenze che l’Italia aveva l’obbligo di eseguire. 

In sostanza, il quadro programmatorio che emerge dal dpcm impugnato riguarda il raggiungimento di un obiettivo pari al 25% circa di incenerimento di rifiuti urbani, che consentirebbe di chiudere al meglio il ciclo dei rifiuti, laddove l’attuale percentuale non lo consente.

In tal senso può individuarsi l’aumento della capacità di circa due milioni di tonnellate che, in quanto tale e ai fini ora descritti, non è in grado di ostacolare comunque lo sviluppo delle misure di prevenzione, della raccolta differenziata e delle percentuali del riciclaggio, quali obiettivi posti dal nuovo “pacchetto sull’economia circolare” e nel rispetto dei principi cardine della direttiva europea considerata. 

Valga evidenziare, infatti, come la difesa erariale abbia posto in luce che, in realtà, la disposizione censurata che si occupa degli inceneritori non può essere considerata isolatamente ma in collegamento con il previsto potenziamento delle infrastrutture per il trattamento della frazione organica, che consentirebbe di raggiungere l’obiettivo del 65-70% di raccolta differenziata, permettendo anche di potenziare le infrastrutture di valorizzazione energetica dei rifiuti urbani, riducendo così infine il fabbisogno di discariche a valori inferiori al 10%, come auspicato in sede UE.

Il ragionamento “compensativo” su scala nazionale su incenerimento e relativi impianti e le agevolazioni per le autorizzazioni di cui all’impugnato dpcm, quindi, non possono essere lette in un’ottica di incremento di tale modalità di trattamento dei rifiuti fine a se stessa e a discapito delle altre modalità di trattamento dei rifiuti, con conseguente violazione del principio di gerarchia sopra richiamato, perché esso deve essere interpretato con la necessità di porre rimedio in tempi immediati a cronici “deficit” delle rete di gestione generale dei rifiuti, soprattutto nel centro-sud italiano, senza per questo impattare sul sistema della gerarchia e sull’incremento nel tempo delle altre forme di gestione, a partire dal recupero, riciclo e riuso ove possibile, così da evitare il conferimento in discarica, tant’è che è previsto anche come gli impianti di trattamento preliminari, con l’incrementarsi della raccolta differenziata, potranno essere opportunamente convertiti, ottemperando agli obblighi di riciclaggio dei rifiuti urbani.

Lo Stato italiano, quindi, nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente”, con il dpcm impugnato, nella parte presa in considerazione, si è occupato dell’incenerimento non al fine di una espansione indiscriminata sul territorio di tale forma di trattamento ma per ottimizzare, allo stato – anche per ottemperare ad obblighi in sede UE derivanti da pronunce giudiziali - il ciclo di gestione dei rifiuti.

Che l’implementazione e la realizzazione di nuovi impianti in questione sia stata dichiarata di “preminente interesse nazionale”, quindi, oltre a non essere stata censurata in quanto tale dalla Corte UE nella suddetta sentenza, nel caso di specie, secondo l’invito della Corte stessa, porta questo giudice del rinvio a constatare, per quanto illustrato finora, che ciò non si pone in contrasto con altri principi della direttiva né sta a indicare che sia riconosciuta priorità all’incenerimento, nella violazione del principio di gerarchia sopra richiamato, né che emergono elementi da cui trarre che alle relative operazioni di trattamento dei rifiuti lo Stato abbia inteso attribuire un definitivo grado di priorità rispetto alle altre operazioni di prevenzione e gestione dei rifiuti, come invece affermato da parte ricorrente, con il sostegno degli intervenienti.

Per quanto riguarda la contestazione circa la mancata valutazione degli effetti sulla salute umana, il Collegio ritiene evidente che, in sede di pianificazione, non è possibile prevedere le caratteristiche definitive e costruttive del sito che verrà realizzato, risultando difficile una corretta stima dei rischi, salva ogni ulteriore determinazione delle Autorità locali competenti in sede di autorizzazione specifica.

In sostanza, nell’ambito della discrezionalità amministrativa riconoscibile nel caso di specie all’Autorità statale e che non è delibabile nella presente sede, una volta constata la non contrarietà alle disposizioni della suddetta direttiva, la qualificazione degli impianti in questione quali di preminenza strategica nazionale non comporta l’illegittimità del dpcm impugnato, sotto questo profilo.

Alla luce di quanto dedotto, pertanto, il ricorso deve essere accolto sotto il profilo appena descritto, con conseguente assorbimento di quanto lamentato con gli ulteriori profili su questioni, queste, affrontabili e valutabili proprio in sede di VAS, anche con la partecipazione procedimentale sopra auspicata.

La novità e rilevanza della fattispecie, portata anche all’attenzione della Corte UE, e l’accoglimento sotto un solo profilo consentono di compensare eccezionalmente le spese di lite tra tutte le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il d.p.c.m. impugnato per la parte che non prevede l’espletamento di previa V.A.S. statale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 luglio 2020 in collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, d.l. n. 18/2020, come convertito in l. n. 27/2020, con l'intervento dei magistrati:

Antonino Savo Amodio, Presidente

Ivo Correale, Consigliere, Estensore

Laura Marzano, Consigliere


venerdì 2 ottobre 2020

Il Sant'Andrea rileva la correlazione tra COVID-19 e inquinamento

La pandemia COVID-19 / SARS-CoV-2 ha colpito i sistemi sanitari, sociali ed economici di tutto il mondo e rappresenta una sfida aperta per gli scienziati, che devono far fronte all'elevata variabilità interindividuale dell'epidemia, e per i responsabili politici, che dal canto loro devono fare i conti con la responsabilità di comprendere i fattori ambientali che influenzano la sua gravità nelle diverse aree geografiche. 

L'inquinamento atmosferico è stato segnalato come una variabile che contribuisce alla diffusione differenziale della SARS-CoV-2, ma i meccanismi biologici alla base del fenomeno sono ancora sconosciuti. Gli scienziati dell'ospedale Sant'Andrea di Roma hanno studiato mediante analisi di correlazione i dati sulla qualità dell'aria ed i dati epidemiologici relativi al COVID-19 di 110 province italiane, per valutare l'associazione tra le concentrazioni di particolato (PM)2.5 e l'incidenza, il tasso di mortalità e il rischio di mortalità del caso di COVID-19 nel periodo 20 febbraio-31 Marzo 2020. 

L'analisi bioinformatica della sequenza di DNA che codifica per l'enzima 2 di conversione dell'angiotensina (ACE-2) del recettore cellulare SARS-CoV-2 è stata eseguita per identificare i motivi di consenso per i fattori di trascrizione che mediano la risposta cellulare all'esposizione degli inquinanti. 

Sono state evidenziate correlazioni positive tra i livelli di PM2,5 e l'incidenza (r = 0,67, p <0,0001), il tasso di mortalità (r = 0,65, p <0,0001) e il tasso di letalità (r = 0,7, p <0,0001) del COVID-19. L'analisi bioinformatica del gene ACE-2 ha identificato nove presunti motivi di consenso per il recettore degli idrocarburi arilici (AHR). I risultati del Sant'Andrea, pertanto, confermano il presunto legame tra l'inquinamento atmosferico e il tasso e l'esito dell'infezione da SARS-CoV-2 e supportano l'ipotesi che la sovraespressione di ACE-2 indotta dall'inquinamento sulle vie aeree umane possa favorire l'infettività di SARS-CoV-2.

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giovedì 1 ottobre 2020

Dopo la peste suina, in Europa torna l'aviaria?

L'EFSA, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e il Laboratorio di riferimento dell'Unione europea per l'influenza aviaria hanno sollecitato i Paesi dell'UE sono sollecitati a intensificare la sorveglianza e le misure di biosicurezza per prevenire possibili nuove epidemie di influenza aviaria quest’anno. Tra il 16 maggio e il 15 agosto 2020, infatti ben sette focolai di virus dell'influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) A (H5N8) sono stati segnalati in Europa nel pollame, con un focolaio segnalato in Bulgaria (n = 1) e sei in Ungheria (n = 6), mentre un focolaio di virus dell'influenza aviaria a bassa patogenicità (LPAI) A (H5N3) è stato segnalato nel pollame in Italia. 

Tutti e sei i focolai rilevati in Ungheria sono stati focolai secondari e sembrano essere la coda dell'epidemia di HPAI A (H5N8) osservata nel pollame durante l'inverno e la primavera nell'Europa centrale a partire da dicembre 2019 (n = 334). L'analisi genetica dei virus HPAI A (H5N8) isolati durante questo periodo di riferimento dalla Bulgaria e dall'Ungheria non ha identificato alcun cambiamento importante rispetto ai virus raccolti nei rispettivi paesi durante i primi mesi del 2020. Ciò suggerisce una persistenza del virus nei due paesi piuttosto che nuove introduzioni tramite uccelli selvatici infetti. 

Il virus HPAI A (H5N8) è stato invece rilevato nel pollame e in uccelli selvatici nella Russia occidentale durante il periodo di riferimento e dalla metà di settembre anche in Kazakistan. La presenza del virus HPAI nella Russia occidentale e nel Kazakistan settentrionale, spazialmente associata alle rotte migratorie autunnali degli uccelli acquatici selvatici, è motivo di preoccupazione a causa della possibile diffusione del virus attraverso gli uccelli selvatici che migrano verso l'UE. 

L'EFSA ha pertanto raccomandato vivamente agli Stati membri di adottare misure appropriate per individuare prontamente i casi sospetti di HPAI, compreso l'aumento delle misure di biosicurezza. Secondo le esperienze passate (ondate epidemiche del 2005-2006 e 2016-2017,  relativamente alle quali diversi studi hanno evidenziato che il freddo portò alla rapida propagazione verso ovest del virus HPAI tramite uccelli migratori infetti), le aree dell'Europa settentrionale e orientale potrebbero infatti essere maggiormente a rischio di introduzione del virus nella prossima stagione autunno-inverno e dovrebbero essere le regioni chiave in cui le misure di risposta tempestive per individuare precocemente focolai del virus. 

Il rischio di trasmissione dei virus dell'influenza aviaria alla popolazione europea resta molto basso. Tuttavia, per ridurre al minimo il rischio di trasmissione all'uomo, si consiglia di non toccare gli uccelli morti senza indossare adeguati dispositivi di protezione individuale: durante il periodo di riferimento è stato infatti segnalato un caso umano dovuto a infezione da virus dell'influenza aviaria A (H9N2).

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