In tema di rifiuti, la semplice inerzia conseguente all'abbandono da parte di terzi o la consapevolezza, da parte del proprietario del fondo, di tale condotta da altri posta in essere, non sono idonee a configurare il reato e ciò sul presupposto che una condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell'art. 40 cod. pen., ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire l'evento.
A tali conclusioni si deve pervenire anche nel caso in cui il proprietario del terreno non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto la responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che questi può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti.
Inoltre, l'obbligo giuridico di impedire l'evento, non può certamente essere ravvisato nell'inottemperanza all'ordinanza di rimozione, provvedimento successivo all'abbandono, che presuppone, infatti, il previo accertamento dello stesso e l'inosservanza del quale configura autonomo reato, sanzionato dall'art. 255, comma 3 d.lgs. 152/06.
Ma leggiamo la sentenza:
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^ 28/03/2019 (Ud. 08/02/2019), Sentenza n.13606
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
omissis nato a omissis ;
omissis nato a omissis ;
avverso la sentenza del 28/03/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI NORD;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PIETRO MOLINO che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
udito il difensore (avv. Rossi P.)
Il difensore presente si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli Nord, con sentenza del 28 marzo 2018 ha dichiarato la penale responsabilità di omissis e omissis per il reato di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. 152/2006, così qualificando l'originaria imputazione riferita all'art. 255, comma 1 del medesimo decreto e le ha condannate alla pena dell'ammenda in relazione ad una condotta, descritta nell'imputazione, come riferita alla loro qualità di proprietarie di due aree di terreno, per avere "gestito uno sversamento e deposito di notevole quantità di residui di calcinacci di provenienza edile, pneumatici di veicoli ecc. ricoperti da erbacce e arbusti selvatici in assenza di autorizzazione". Il fatto risulta accertato in Sant'Antimo, in data 7 Aprile 2016.
Avverso tale pronuncia le predette propongono distinti ricorsi per cassazione, di contenuto sostanzialmente identico, tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2. Con un unico motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che il Tribunale avrebbe affermato la loro penale responsabilità pur in presenza di una diversa contestazione per un fatto non costituente reato, punito con la sola sanzione amministrativa.
Aggiungono che il reato di cui all'art. 256, comma 2, d.lgs. 152/2006 non può essere configurabile in forma omissiva nei confronti del proprietario di un terreno sul quale soggetti terzi abbiano abbandonato o depositato rifiuti in modo incontrollato, trattandosi, peraltro, di violazione che presuppone la titolarità di un'impresa o la responsabilità di un ente, che configura un semplice illecito amministrativo se posta in essere da privato.
Rilevano, altresì, che il conferimento di rifiuti sul terreno di loro proprietà era stato effettuato senza che ne fossero consapevoli e che, in sostanza, il giudice del merito avrebbe affermato la loro responsabilità esclusivamente per il fatto di essere proprietarie dell'area.
Insistono, pertanto, per raccoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati nei termini di seguito specificati.
2. Va premesso che l'imputazione, la sentenza ed i ricorsi sono caratterizzati da numerosi erronei riferimenti a disposizioni concernenti la disciplina dei rifiuti ed alla interpretazione degli stessi effettuata dalla giurisprudenza di questa Corte.
Limputazione, in primo luogo, come è stato rilevato anche dalle ricorrenti, richiama espressamente l'art. 255, comma 1 d.lgs. 152/06, il quale riguarda l'illecito amministrativo dell'abbandono di rifiuti effettuato al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 256, comma 2 d.lgs. 152\06, mentre, nella descrizione del fatto, come si è detto, si contesta alle imputate di avere "gestito uno sversamento e deposito di notevole quantità di residui...", poi descritti nelle loro caratteristiche.
Il giudice, dopo aver qualificato la condotta delle imputate come " raccolta e deposito" di rifiuti, ha ritenuto di affermarne la responsabilità per il reato di illecita gestione di cui all'art. 256, comma 1 d.lgs. 152/06.
Nei ricorsi tale conclusione viene contestata, con le motivazioni sintetizzate in premessa, facendo tuttavia riferimento alla diversa ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 256, comma 2 d.lgs. 152/06.
Quanto appena indicato rende dunque necessarie alcune preliminari osservazioni.
3. L'art. 256, comma 2 d.lgs. 152\06 stabilisce che le pene individuate dal primo comma del medesimo articolo per le ipotesi di illecita gestione siano applicabili anche ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti, ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2. Se, dunque, l'abbandono viene effettuato da tali soggetti, si configura una violazione penale, mentre se l'autore dell'abbandono non possiede la qualità suddetta, la sanzione è quella amministrativa di cui all'art. 255, comma 1.
La ratio del diverso trattamento riservato alla medesima condotta, distinguendo l'autore della violazione, è evidentemente fondata su una presunzione di minore incidenza sull'ambiente dell'abbandono posto in essere da soggetti che non svolgono attività imprenditoriale o di gestione di enti.
Cosa del tutto diversa è la gestione illecita, sanzionata dall'art. 256, comma 1, richiamato esclusivamente quoad poenam dall'art. 256, comma 2.
4. Ciò posto, deve rilevarsi che nel capo di imputazione è contenuto un richiamo, del tutto inconferente, all'illecito amministrativo di cui all'art. 255, comma 1 d.lgs. 152/06, mentre la descrizione della condotta è riferita, come si è già detto, alla gestione, in assenza di autorizzazione, di uno "sversamento e deposito" di "residui".
Vengono dunque utilizzati, nella descrizione della condotta, termini in parte impropri.
In primo luogo, lo "sversamento" non è contemplato tra le attività di gestione, la cui definizione è attualmente offerta, come è noto, dall'art. 183, comma 1, lett. n) d.lgs. 152/06 ed è termine che invece il legislatore utilizza nell'art. 137, comma 13 per lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili e dall'art. 195, comma 1, lett. g) in tema di competenze statali con riferimento evidente a sostanze liquide, non indicate, invece, nella descrizione dei materiali rinvenuti sui terreni delle imputate, sicché deve ritenersi che il Pubblico Ministero abbia probabilmente inteso riferirsi al "conferimento" ovvero allo "smaltimento", termini invece entrambi utilizzati riguardo ai rifiuti per individuare, con il primo, ad esempio, la consegna ad un punto di raccolta (cfr. art. 183, lett. pp) d.lgs. 152/06) e, con il secondo, una fase tipica della gestione.
Quanto al termine "residui" è pacifico il riferimento al concetto di rifiuto.
5. Nonostante tali imprecisioni, tuttavia, la contestazione è chiaramente riferita, a dispetto dell'errato richiamo all'art. 255, comma 1 d.lgs. 152/06 ed alla terminologia utilizzata, ad una ipotesi di illecita gestione, essendo evidente che si imputava alle ricorrenti di aver ricevuto e mantenuto i rifiuti su un terreno di proprietà in difetto del necessario titolo abilitativo.
Il Tribunale ha, dunque, qualificato l'imputazione come riferita all'art. 256, comma 2 d.lgs. 152/06 senza incorrere in alcuna nullità, giungendo però, come si dirà appresso, a conclusioni errate.
La formulazione dell'imputazione con le modalità appena descritte non determina, perciò, alcuna conseguenza, in quanto, come già puntualizzato dalla giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamata nella sentenza impugnata, la mancata indicazione degli articoli di legge violati è irrilevante quando il fatto addebitato sia puntualmente e dettagliatamente esposto, in modo tale che non possa insorgere alcun equivoco sul pieno esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 5469 del 5/12/2013 (dep. 2014), Russo, Rv. 258920 ed altre prec. conf.) e, nei ricorsi, la lesione dell'esercizio del diritto di difesa viene apoditticamente censurata, senza tuttavia fornire alcuna indicazione concreta.
Nell'articolare i motivi di impugnazione, tuttavia, le ricorrenti si riferiscono, per lo più, all'ipotesi di abbandono penalmente rilevante di cui all'art. 256, comma 2 d.lgs. 152/06 - la quale, però, come si è già detto, è fattispecie del tutto autonoma rispetto all'illecita gestione di cui al comma precedente - e richiamano, in maniera non pertinente, decisioni di questa Corte che non hanno alcuna attinenza con la questione esaminata dal giudice del merito.
6. Nondimeno, le ricorrenti, con riferimento alla violazione ritenuta in sentenza pongono in evidenza, seppure senza particolari approfondimenti, elementi di criticità del provvedimento impugnato, in punto di motivazione sulla responsabilità e sussistenza dell'elemento psicologico, meritevoli di considerazione.
7. Si specifica, nella motivazione della sentenza, che, all'atto di un primo sopralluogo sui terreni, veniva riscontrata una parziale recinzione riguardante il confine adiacente il fronte strada, mentre gli altri confini risultavano liberamente accessibili.
Il rinvenimento dei rifiuti determinava l'amministrazione comunale ad adottare un'ordinanza nei confronti delle imputate, risultate proprietarie dei terreni, volta alla bonifica dell'area ed alla rimozione dei rifiuti.
Decorso il termine fissato per l'ottemperanza all'ordinanza sindacale, veniva effettuato un nuovo sopralluogo, in occasione del quale si accertava che i rifiuti erano stati solo parzialmente rimossi e che nessun intervento di delimitazione era stato eseguito.
Nel corso del procedimento, le imputate avevano poi provveduto, mediante ditte specializzate, alla rimozione dei rifiuti ed alla bonifica delle aree di loro proprietà.
Fatte tali premesse e qualificata la condotta quale illecita gestione di rifiuti, il Tribunale ha ritenuto provata una condotta "consistente nell'accantonamento e sversamento di materiale di risulta, pneumatici e lattine di vernice", da qualificarsi giuridicamente "in termini di raccolta accantonamento sversamento dei rifiuti», quali erano i materiali rinvenuti sul terreno.
La sentenza pone successivamente in evidenza il fatto che i rifiuti erano stati trovati sul terreno delle imputate, "lasciato incolto e liberamente accessibile da ignoti avventori", tanto che era stata emessa l'ordinanza sindacale di rimozione ed il Tribunale ricava la sussistenza di un preciso e puntuale obbligo giuridico in capo alle ricorrenti proprio dall'adozione di tale provvedimento e dalla successiva inerzia delle imputate nel mantenimento dello stato dei luoghi.
A tali considerazioni seguono, anche in questo caso, richiami non pertinenti a principi giurisprudenziali riferiti ad altre ipotesi di reato, quale quello di realizzazione o gestione di discarica abusiva.
8. Rileva dunque il Collegio come la motivazione posta a sostegno dell'affermazione di responsabilità risulti del tutto carente rispetto al reato che il Tribunale ha ritenuto essere stato effettivamente contestato alle imputate e, cioè, quello di illecita gestione di rifiuti.
Ciò che emerge dalla motivazione, infatti, è l'attribuzione alle imputate di una colpevole inerzia a fronte della collocazione di rifiuti, da parte di estranei, sulle aree di loro proprietà, ma una tale situazione, se riferita ad attività di illecita gestione posta in essere da terzi, come sembra voglia intendere il giudice del merito, avrebbe richiesto, da parte del Tribunale, la specificazione del contributo causale consapevolmente fornito dalle imputate all'illecita gestione effettuata da altri.
Se, invece, si è ritenuto che la responsabilità delle imputate sia dovuta a mera inerzia ed alla mancanza di adeguata recinzione dei terreni, sui quali ignoti terzi hanno semplicemente abbandonato i propri rifiuti, senza, dunque, porre in essere attività specifiche di gestione, ma ponendo in essere una condotta occasionale ed estemporanea in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento del rifiuto, il Tribunale avrebbe dovuto eventualmente qualificare la condotta come rientrante nell'ipotesi di cui all'art. 256, comma 2 d.lgs. 152/06, tenendo tuttavia conto del fatto che, con riferimento al reato di abbandono di rifiuti, non sempre la posizione del proprietario o possessore dell'area può configurare un'ipotesi di concorso nel reato, tanto è vero che la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato, in modo pienamente condivisibile, che la semplice inerzia, conseguente all'abbandono da parte di terzi o la consapevolezza, da parte del proprietario del fondo, di tale condotta da altri posta in essere, non sono idonee a configurare il reato e ciò sul presupposto che una condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell'art. 40 cod. pen., ovvero sussista l'obbligo giuridico di impedire l'evento (v., ad es., Sez. 3, n. 40528 del 10/6/2014, Cantoni, Rv. 260754; Sez. 3, n. 49327 del 12/11/2013, Merlet, Rv. 257294; Sez. 4, n. 36406 del 26/6/2013, Donati e altro, Rv. 255957; Sez. 3, n. 2477 del 09/10/2007 (dep. 2008), Marciano e altri, Rv. 238541; Sez. 3, n. 32158 del 1/7/2002, Ponzio A, Rv. 222420; Sez. 3, n. 2206 del 12/10/2005 (dep. 2006), Bruni, Rv. 233007).
Si è altresì specificato (da ultimo, in Sez. 3, n. 50997 del 7/10/2015, Cucinella e altro, Rv. 266030, ma si veda anche Sez. 3, n. 28704 del 05/4/2017, Andrisani e altro, Rv. 270340) che a tali conclusioni deve pervenirsi anche nel caso in cui il proprietario del terreno non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto la responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che questi può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti.
L'obbligo giuridico di impedire l'evento, peraltro, non poteva certamente essere ravvisato nella inottemperanza all'ordinanza di rimozione, provvedimento successivo all'abbandono, che presuppone, infatti, il previo accertamento dello stesso e l'inosservanza del quale configura autonomo reato, sanzionato dall'art. 255, comma 3 d.lgs. 152/06 (cfr. Sez. 3, n. 39430 del 12/6/2018 , Pavan, Rv. 273841).
9. Quanto evidenziato impone, conseguentemente, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, la Tribunale di Napoli Nord.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli Nord in diversa composizione.
Così deciso in data 8/2/2019