Senza avventurarsi su
problematiche di tipo sanitario (rispetto alle quali, tra l’altro, è già
abbastanza la confusione), l’epidemia globale da coronavirus e il
conseguente tentativo in corso di gestirla dimostrano che è indifferibile un’inversione
di tendenza nella direzione della transizione ecologica. Vediamo quali sono le diverse
criticità della società di massa (per nulla sconosciute a chi si occupa di
ambiente, a dire il vero) che stanno venendo alla luce:
- l’attuale
sistema economico globale è sostanzialmente fondato sulla produzione di inquinamento:
seppure la qualità dell’aria nelle megalopoli cinesi non è migliorata (a causa del
ruolo dalle industrie ad alta intensità energetica e dal trasporto merci), la
quarantena o lo stop produttivo immediatamente successivi alle feste del
capodanno lunare sono stati sufficiente per ottenere la riduzione di oltre 100
milioni di tonnellate metriche di emissioni di anidride carbonica[1] (quantità compresa tra il 15% e il 40%), e conseguentemente per la diminuzione di
circa un quarto[2], o più,
delle emissioni di CO2[3]
del paese in solo 2 settimane. Inoltre un secondo studio (sempre del Crea) ha altresì evidenziato
nel medesimo periodo di osservazione un crollo del 36% delle emissioni di
diossido di azoto (NO2), un sottoprodotto della combustione di combustibili
fossili nei veicoli e nelle centrali elettriche, grazie alla forte riduzione del
traffico ed al pressoché azzeramento del consumo quotidiano di carbone, il
combustibile fossile più inquinante.
Le emissioni inquinanti in Cina - fonte Bloomberg - Le
epidemie in Cina non sono una novità, anzi. Ma, rispetto al passato, le
megalopoli hanno amplificato l’area del contagio e, come sottolineato anche da Ilaria
Capua, virologa di fama internazionale ed ora all’Università della Florida, la
globalizzazione l’ha estesa a tutto il pianeta generando l’immenso effetto
domino sotto gli occhi di tutti, a livello sociale e soprattutto economico: «Questa
epidemia ha messo in luce come in questo mondo siamo tutti interconnessi». Una megalopoli
è un aggregato di aree metropolitane più o meno vicine, che insieme
costituiscono però un polo regionale integrato, anche se sono separate da
«buchi» e aree non urbanizzate o agricole: con le dovute proporzioni rispetto
alla Cina, una megalopoli italiana potrebbe essere l’insieme Milano-Torino. Piaccia
o meno, è un dato di fatto con cui fare i conti.
Distribuzione geografica dei casi di COVID-19 (al 28 febbraio 2020) - fonte ECDC - Nell’era
della connessione continua, «lo Smart
Working non può essere la soluzione per “bloccare” l’epidemia ma, con l’impegno
di tutti, può rappresentare una misura per ridurre rischi, attenuare disagi e
contenere gli enormi danni economici e sociali che questa emergenza rischia di
causare», come ha dichiarato Mariano Corso, responsabile scientifico
dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Mentre in Cina,
cercando di arginare l’arresto della propria economia, è stato avviato il più
grande maxiesperimento di smart working[4],
anche in Italia, con l’approvazione d’urgenza del decreto attuativo del 23
febbraio 2020 n.6[5], il
lavoro agile sarà applicabile da subito anche senza un accordo preventivo con i
dipendenti (così come invece richiede il Jobs Act[6]).
E lo Smart Working, oltre a convenire all’apparato produttivo perché favorisce la
produttività individuale e la continuità operativa dell’utente (e quindi del
business), giova ai lavoratori (che hanno una maggiore flessibilità e autonomia
nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti da utilizzare
per svolgere le proprie attività lavorative) e ancor più all’ambiente[7]
(meno mobilità = meno emissioni = meno inquinamento).
- L’epidemia COVID-19 non è una pandemia[8], ma la cattiva informazione (soprattutto su social e tv generaliste) e probabilmente la mancanza di strumenti cognitivi idonei in larghe fette della popolazione hanno fatto scatenare una vera e propria psicosi di massa. Eppure in Italia l’inquinamento dell'aria [9] è ritenuto concausa di 76.200 vittime ogni anno [10] (8 milioni di decessi l’anno nel mondo), il cancro del polmone uccide 40 persone al giorno (tuttavia in Italia rimangono 12 milioni di fumatori), mentre l’influenza stagionale ha mietuto 68.068 vittime tra il 2013 e il 2017[11] (400 mila persone l’anno nel mondo). Gli epidemiologi ritengono che il coronavirus si fermerà solo quando ogni persona infetterà meno di una persona a sua volta (per ora il tasso di riproduzione in Cina è sceso da 3,3 a 2,2) né è ancora certo se sia maggiormente legato al freddo e che con il caldo scomparirà (come avvenne nel caso della Sars, scoppiata alla fine del 2002 ed estintasi nel luglio del 2003): «è possibile che la diffusione del coronavirus sia legata anche a fattori ambientali - ha ammesso Guido Silvestri [12], direttore del dipartimento di Patologia alla Emory University di Atlanta - non ci spieghiamo il fatto che nazioni popolose, con legami intensi con la Cina, siano prive o quasi di contagi. Penso a Indonesia, India, Thailandia, Bangladesh, Africa. Forse la temperatura gioca un ruolo nel limitare l’epidemia». Tuttavia è certo che il caldo frenerà raffreddore e influenza stagionale rendendo non più necessaria una diagnosi differenziale. Il coronavirus non è molto più pericoloso dell’influenza, ma è molto più infettivo: pur in mancanza di dati certi riguardo la potenzialità di persone che esso può infettare, si teme che in 60 giorni potrebbe colpire fino al 60-80% della popolazione se non vengono prese misure per contenerlo[13]. Su queste stime, un’infettività potenziale del 60% potrebbe significare finanche 30 milioni di italiani contagiati, di cui la stragrande maggioranza inconsapevoli (perché asintomatica o con sintomi confondibili a quelli della comune influenza) ma con un 5% di pazienti critici in appena due mesi: il che significa circa 300.000 persone da porre in terapia intensiva, a fronte dei 4.000 posti letto di cui dispone il nostro Sistema Sanitario, che pertanto rischierebbe di collassare. Per questo, nonostante la letalità del coronavirus sia bassissima, la quarantena è fondamentale per graduare la velocità di contagio.
- I virus sono patogeni obbligati: non vivono senza le cellule animali e sono naturalmente predisposti a cercare sempre nuovi ospiti [14]. Ma i cambiamenti climatici determinano, proprio come una reazione a catena, una serie di effetti collaterali sui fattori biologici: la migrazione di animali, l’adattamento a climi differenti, il successivo adattamento dei patogeni e, di conseguenza, la loro maggiore diffusione territoriale. «Le variazioni di pioggia e umidità, il riscaldamento, cambiano le interazioni tra le diverse componenti biologiche. Una prova è proprio il coronavirus, che ha fatto un salto di specie, passando dal pipistrello a noi, come per altro hanno fatto anche altre affezioni», spiega il dottor Giuseppe Miserotti di ISDE (Associazione medici per l’ambiente). Ed infatti l’Oms ritiene che una delle più grandi conseguenze del cambiamento climatico sarà proprio l’alterazione dei processi di trasmissione di malattie infettive, anche perché la distruzione della biodiversità sta spazzando via il miglior sistema di controllo reciproco tra le diverse dimensioni biologiche.
G.R.E. LAZIO
[1] come rilevato dall’organizzazione
finlandese Centre for Research on Energy and Clean
Air (Crea), che tra l’altro ha effettuato lo studio Toxic Air sull’impatto globale dei
combustibili fossili e dei costi umani ed economici che ne conseguono
[3] La CO2, insieme alla
temperatura, è un indicatore del degrado antropico causato dall’alterazione dei
sistemi sintropici naturali (i sistemi biosferici tampone)
[7] secondo l’Osservatorio
Smart Working, nel 2019 in Italia ci sono stati 570mila smart worker (20%
in più al 2018): una sola giornata a settimana di remote working può far
risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti e per l’ambiente, invece,
determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno (ipotizzando
una percorrenza di 40 km). Ma, come evidenziato dallo studio della PWC Il
livello di digitalizzazione e di innovazione nelle PA e gli investimenti nel
settore ICT, la Pubblica Amministrazione italiana è penultima in Europa in quanto
a ricorso all’istituto dello Smart Working.
[8] Secondo l’European
Centre for Disease Prevention and Control, i casi accertanti nel mondo sono
83.396 con 2.858 decessi, mentre in base al bollettino
del Ministero della Salute delle ore 18 del 27 febbraio 2020, sono 650 le
persone contagiate dal nuovo coronavirus Sars-CoV-2 in Italia. Di queste, 17
persone sono decedute e 45 persone guarite.
[9] l’Organizzazione
mondiale della Sanità ha riconosciuto l’inquinamento dell’aria come il
fattore di rischio più alto per la salute dell’umanità
[10] secondo gli ultimi dati dell’Agenzia
europea dell’ambiente, l’Italia è il primo paese in Europa per morti
premature da biossido di azoto (NO2) con circa 14.600 vittime all’anno, ha il
numero più alto di decessi per ozono (3.000) e il secondo per il particolato
fine PM2,5 (58.600)
[12] “Calma,
sangue freddo e tanta, tanta preparazione”, prof. Guido Silvestri
[13] Coronavirus
‘could infect 60% of global population if unchecked’, Prof. Gabriel Leung -
preside della facoltà di medicina dell’Università di Hong Kong
[14] Il “salto tra specie” dei
virus (o “spill over”) è da sempre uno dei fenomeni più temuti in Medicina
perché l’adattamento ad
un nuovo agente virale patogeno (e la generazione di anticorpi specie IgA che
lo rendano meno pericoloso) richiede del tempo