Ancora in materia di impatto ambientale, importante pronuncia del Consiglio di Stato, il quale ha ribadito che la V.I.A. è configurata come procedura amministrativa di supporto per l’autorità competente finalizzata ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un’opera, il cui progetto è sottoposto ad approvazione o autorizzazione. In altri termini, trattasi di un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull'ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo è proteggere la salute umana, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile (cfr. art. 3, direttiva n. 85/337/CEE e successive modifiche apportate dalla direttiva n. 97/11/CE). Essa mira a stabilire, e conseguentemente governare in termini di soluzioni più idonee al perseguimento di ridetti obiettivi di salvaguardia, gli effetti sull'ambiente di determinate progettualità. Tali effetti, comunemente sussumibili nel concetto di “impatto ambientale”, si identificano nella alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull'ambiente, laddove quest’ultimo a sua volta è identificato in un ampio contenitore, costituito dal “sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti” (art. 5, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 152/2006).
L’oggetto dello screening è, sostanzialmente, l’“impatto”, ovvero “alterazione” dell’ambiente lato sensu inteso, così come per la VIA: esso svolge però una funzione preliminare per così dire di “carotaggio”, nel senso che “sonda” la progettualità e solo ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza negativa sull'ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura; diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di tempi di attuazione. Lo screening, dunque, data la sua complessità e l’autonomia riconosciutagli dallo stesso Codice ambientale che all’art. 20 (e, più di recente, all’art. art. 9, d.lgs. del 16 giugno 2017, n. 104) ne disciplina lo svolgimento, è esso stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale, meno complessa della V.I.A., la cui previsione risponde a motivazioni comprensibilmente diverse. Per questo motivo è spesso definito in maniera impropria come un subprocedimento della V.I.A., pur non essendo necessariamente tale. Esso è qualificato altresì come preliminare alla V.I.A., dizione questa da intendere solo in senso cronologico, stante che è realizzato preventivamente, ma solo con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della verifica di assoggettabilità. Le categorie di progetti, quindi, che possono essere sottoposte alla verifica di assoggettabilità coincidono con quelle rispetto alle quali la V.I.A. è solo eventuale, ovvero, in estrema sintesi:
- progetti elencati nell’Allegato II al Codice che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni (screening di competenza statale);
- modifiche dei progetti elencati nell’Allegato II suscettibili di produrre effetti negativi e significativi per l’ambiente (screening di competenza statale);
- progetti elencati nell’Allegato IV (screening di competenza regionale).
La verifica di assoggettabilità, dunque, non può essere considerata una fase costitutiva ed imprescindibile della V.I.A., perché essa non deve essere esperita sempre, ma solo rispetto ai progetti appena elencati. Ne costituisce pertanto un elemento aggiuntivo eccezionale rispetto al normale iter, che per gli altri progetti prende avvio con la presentazione della relativa istanza.
La direttiva n. 2011/92/UE che ha armonizzato a livello comunitario la disciplina della V.I.A., specifica che lo screening può essere realizzato o mediante un’analisi caso per caso, oppure lasciando agli Stati membri la possibilità di fissare delle soglie dimensionali rispetto alle quali procedere o meno alla verifica di assoggettabilità. Suddetta direttiva è molto chiara nello specificare che, anche qualora si decidesse di fare riferimento ad un indicatore dimensionale, data la rilevanza che riveste lo screening (perché in base al suo esito si decide se procedere o meno ad effettuare la V.I.A.), occorrerebbe fare riferimento comunque anche a specifici criteri di selezione. Pertanto non è possibile escludere un progetto solo facendo riferimento alle sue dimensioni: occorre avere una visione d’insieme. Indicazione questa di innegabile rilevanza ai fini dello scrutinio della legittimità della decisione in termini di assoggettamento. I criteri in questione sono stati recepiti a livello nazionale nell’Allegato V, Parte II, del Codice ambientale. Essi sono molteplici, e spaziano dalle intrinseche caratteristiche del progetto (dimensioni, cumulo con altri progetti, produzione di rifiuti, utilizzazione delle risorse naturali, produzione di inquinamento e disturbi acustici, rischio di incidenti concernenti le tecnologie o sostanze utilizzate); alla sua localizzazione (capacità di assorbimento ambientale delle aree geografiche in cui verrà situato l’impianto, effetti su riserve e parchi naturali, zone costiere e montuose, zone a forte densità demografica); alle caratteristiche dell’impatto potenziale (portata dell’impatto, probabilità di accadimento dell’impatto, durata, frequenza e reversibilità dell’impatto). La ratio è evidentemente quella di garantire per quanto possibile il più elevato livello di tutela ambientale, senza tuttavia onerare inutilmente il cittadino richiedente.
I presupposti per la V.I.A. sono oggettivi, e riposano nel ricadere o meno di un certo progetto fra le tipologie per le quali la normativa contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, o nelle leggi regionali, contempla la verifica ambientale, obbligatoriamente, ovvero facoltativamente, imponendo il legislatore la preliminare verifica di assoggettabilità (sul punto cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403).
Ma leggiamo per intero la sentenza: