Stamattina il TAR LAZIO ha annullato anche le determinazioni della Regione Lazio concernenti la deroga ai valori limite e l'impianto di percolato di Magliano Romano (determinazione del 31 marzo 2016 n. G03100, pubblicata sul BURL Lazio il 7 aprile 2016).
Dopo questa nuova vittoria a difesa dell'ambiente, del territorio, della comunità locale e dell'economia, resa possibile grazie alla professionalità degli avvocati Vittorina Teofilatto, Daniela Terracciano e Alessandro Di Matteo, ripercorriamo la storia giudiziaria - amministrativa della discarica di Magliano , autorizzata nel 2012 dalla Regione Lazio (determinazione 8006167 del 17 settembre 2012) per ricevere rifiuti inerti di oltre 92 diversi codici CER, la cui natura inerte, in base al provvedimento autorizzativo, deve essere attestata dal conferitore e controllata dal gestore della discarica.
Nel 2015 la Regione aveva provato (con una modifica non sostanziale approvata con determinazione G09137 del 22 luglio 2015) ad ampliare la gamma di codici CER ricevibile da parte della discarica, ma il provvedimento fu stato annullato dal T.A.R. del Lazio su ricorso dei GRE, del Comitato No Discarica, e dell'Amministrazione Comunale (sentenza n. 5274 del 6 maggio 2016).
Il 14 agosto 2014, tuttavia, Idea 4 S.r.l. (la società proprietaria della discarica) presentò alla Città metropolitana di Roma Capitale una domanda per ottenere l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto di trattamento chimico-fisico del percolato prodotto dalla discarica, dopo che la Regione Lazio (con determinazione dirigenziale n. G11128 del 31 luglio 2014) ne aveva escluso l'assoggettabilità alla procedura di V.I.A. a condizione che fossero rispettate le prescrizioni contenute nella Relazione Istruttoria. Ma dopo quattro mesi la Città metropolitana di Roma Capitale si dichiarò incompetente, sostenendo che l'impianto fosse connesso alla discarica di inerti già autorizzata con determinazione n. A06398 dalla Regione Lazio.
Il 7 maggio 2015 Idea 4 presentò alla Regione Lazio un nuovo progetto, a suo dire oggetto solo di alcune precisazioni e piccole modifiche rispetto al progetto presentato in Provincia e all'area V.I.A., ma che in realtà tendeva a realizzare un impianto di trattamento del percolato prodotto dalla stessa discarica per rifiuti inerti (costituenti rifiuti portanti codici CER 190206, fanghi prodotti da trattamento chimico-fisico, e CER 190814, fanghi prodotti da altri trattamenti delle acque Industriali diverse da 190803 - non pericolose - questi ultimi smaltibili nella stessa discarica, in base alla determinazione G09137 del 22 luglio 2015, annullata dal T.A.R. del Lazio con sentenza n. 5274/2016) nonché allo scarico delle c.d. "acque reflue" prodotte dall'impianto, in misura di 48 mc/giorno, nel fosso di Monte Pizio, (che afferisce al fosso Passetto Morlupo e al fosso della Selva, affluente del fiume Treja che attraversa il Parco Suburbano della Valle del Treja), dopo essere passate per un filtro a carbone e sabbia e per un pozzetto di campionamento fiscale. Le attività autorizzate ai fini della gestione di tale impianto erano le operazioni D15 (deposito preliminare di CER 190703) e D9 (trattamento chimico-fisico di CER 190703).
Ma la discarica si trova a meno di un chilometro dal centro abitato di Magliano Romano, a circa 1,5 km da due scuole (elementare - media e materna) ad aree agricole di particolare pregio (al confine esistono aziende agricole), nonché delicata dal punto di vista idrogeologico in quanto vicina al parco regionale di Veio (distanza KM 1,3) e al Parco suburbano Valle del Treja (Km 0,8).
A poca distanza dalla discarica, inoltre, si trovano alcuni punti di approvvigionamento idrico dei Comuni siti nelle vicinanze della discarica (il pozzo comunale di emungimento dei Comuni di Magliano Romano e di Rignano Flaminio distano solo 600 metri dalla discarica) e, come se non bastasse, alcuni terreni sui quali si trova la discarica sono indicati nel PTPR (adottato con Delibera della Giunta Regionale 356/2007) come terreni costituenti paesaggi naturali di continuità, nei quali in base agli obiettivi di qualità la Regione Lazio deve attivarsi per eliminare la presenza di discariche realizzate e non sono consentite opere di ampliamento di discariche, essendo al contrarlo consentite le opere finalizzate al miglioramento della qualità del paesaggio.
L'autorizzazione della Regione, pertanto, violava il PTPR, il tutto senza sottoporre a procedimento di V.I.A. nonostante lo scarico nel Fosso di Monte Pizio (che, perlomeno per alcuni periodi dell'anno, è a portata nulla) non è mai stato autorizzato dalla Città metropolitana di Roma, che ha classificato come rifiuto le acque reflue prodotte dall'impianto.
Ma se la discarica di Magliano avrebbe dovuto essere destinata solo a materiali inerti, da dove proveniva il percolato da trattare (rifiuto definito col codice CER 190703), per giunta in quantità ritenute elevate dallo stesso Tar (48 tonnellate)?
In ricorso, inoltre, sono stati articolati due motivi di violazione di legge ed eccesso di potere:
- il primo motivo ripropone, con riferimento all'intero procedimento, le censure formulate nel primo motivo del ricorso introduttivo, deducendo l’illegittimità derivata del provvedimento di autorizzazione alla messa in esercizio dall’illegittimità del provvedimento di autorizzazione della modifica sostanziale dell’impianto;
- il secondo motivo è diretto a censurare il provvedimento con cui la Regione Lazio ha determinato di: a) prendere atto del certificato di collaudo; b) accettare le garanzie finanziarie prestate mediante polizza fideiussoria n. 201607251090307104 del 28 novembre 2016 emessa dalla Gable Insurance AG per un importo pari ad € 80.700,00; c) prendere atto degli esiti positivi del sopralluogo effettuato in data 29 luglio 2016 e quindi di consentire l'esercizio dell'impianto di trattamento di chimico fisico di percolato a servizio della discarica per inerti nel rispetto di quanto previsto nella determinazione del 31 marzo 2016.
Quanto alle garanzie finanziarie la Regione, ancora una volta, non avrebbe effettuato alcun controllo, avendo accettato la garanzia finanziaria emessa da una società, la lussemburghese Gable Insurance AG, poi sottoposta a divieto di concludere nuovi contratti e di disporre del proprio patrimonio dal 9 settembre 2016 e, in data 10 ottobre 2016, posta in amministrazione straordinaria. Quindi la Regione avrebbe accettato supinamente una polizza nulla, con ciò vanificando l’utilità stessa delle garanzie imposte per legge anche a tutela dell’ambiente.
La determinazione impugnata sarebbe omissiva anche con riguardo al collaudo, essendosi limitata la Regione ad una mera presa d'atto del certificato di parte per di più per un impianto che rende concreto il rischio di inquinamento dell'ambiente.
Secondo il Tar del Lazio è fondata la nostra censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria, laddove abbiamo rilevato, da un punto di vista formale, che il progetto autorizzato è diverso da quello su cui l’ARPA si era espressa nel senso della non assoggettabilità a V.I.A. e, sotto il profilo sostanziale, che la Città metropolitana di Roma non ha rilasciato l'autorizzazione per lo scarico nel Fosso di Monte Pizio (che afferisce al fosso Passetto Morlupo e al fosso della Selva, affluente del fiume Treja che attraversa il Parco Suburbano della Valle del Treja) delle acque reflue prodotte dall'impianto, classificandole come rifiuto e che, in ogni caso, il Fosso di Monte Pizio è spesso a portata nulla, situazione che renderebbe serissimo il rischio di inquinamento del suolo e delle acque sotterranee.
A tal proposito il Collegio ha rilevato che, nel provvedimento impugnato, non si dice nulla in relazione alla portata del Fosso: la questione non è di poco conto se si considera che, nel rilasciare una autorizzazione di tal specie, vanno tenute presenti le diverse situazioni meteorologiche e climatiche, fra cui quella attuale, che si protrae da molti mesi, connotata dalla perdurante carenza di precipitazioni e da conseguente siccità che rende gli invasi, perfino i più grandi, quasi totalmente prosciugati. L’autorizzazione allo scarico dei liquidi residui, a prescindere dalla loro natura di reflui o di veri e propri rifiuti, in un Fosso il cui rischio di essere prosciugato per gran parte dell’anno è assai concreto, risulta quanto mai perplessa e azzardata, considerato che non risultano effettuati approfondimenti o indagini istruttorie sul punto, essendosi limitata la Regione a prendere atto di quanto dichiarato da Idea 4.
Alessio de Guttry - Presidente del Comitato No Discarica |
Eppure ARPA Lazio (con nota del 30 giugno 2015 prot. 53090, quindi successiva alla chiusura del procedimento di assoggettabilità a V.I.A.) aveva chiesto integrazioni alla relazione tecnica, rappresentando la necessità di prevedere, nella richiesta, anche l'autorizzazione D15, preliminare a quella D9, nonché di integrare la relazione proprio in merito alla gestione dei rifiuti, indicando la qualità attesa del percolato in ingresso e verifiche in fase di esercizio, le verifiche qualitative successive al trattamento, la dimostrazione dell'efficacia del processo applicato, la predisposizione di un sistema di misurazione del percolato prodotto, trattato e smaltito. A seguito delle integrazioni fornite, ARPA Lazio, nella nota del 22 agosto 2015, ha evidenziato che "la società, in qualità di produttore di tale rifiuto, ha in ogni caso il dovere di classificarlo come previsto dalla vigente norma in materia di rifiuti, anche in relazione al fatto che si tratta di un codice specchio".
Osserva il Collegio che l’Agenzia preposta alla protezione dell’ambiente ha evidenziato criticità che avrebbero dovuto trovare una soluzione tranquillizzante nel testo del provvedimento; soluzione che, viceversa, manca e la cui mancanza risulta ancora più preoccupante se si considerano alcune circostanze, ben note alla Regione: infatti, alla data di adozione dell’impugnato provvedimento (31 marzo 2016) nella discarica, alla quale andrebbe asservito l'impianto, venivano conferiti oltre un centinaio di codici CER. A quelli inizialmente autorizzati seguivano i codici 170506 e 191304, tacitamente autorizzati con determinazione n. G04580 del 10 aprile 2014, con cui la Regione prendeva atto dell’intervenuta formazione del silenzio - assenso alla modifica non sostanziale per l'accesso in discarica dei suddetti due nuovi codici CER, nonchè altre 21 tipologie di codici CER, autorizzate in data 22 luglio 2015, con determinazione n. G09137. Tale ultima determinazione veniva, infatti, annullata solo successivamente, con sentenze della Sez. I Ter, n. 5274 e n. 5275, entrambe del 5 maggio 2016.
Gli avvocati Vittorina Teofilatto, Alessandro Di Matteo e Daniela Terracciano |
Il Tar, traendo le somme, ha rilevato che la decisione di non sottoporre a V.I.A. la variante sostanziale per cui è causa e, soprattutto, di non considerare nella loro complessiva portata le diverse istanze presentate a scaglioni da Idea 4 S.r.l., sia il frutto di un patente difetto di istruttoria da parte della Regione, che non poteva ignorare come, nel coevo procedimento che doveva poi esitare nella determinazione G12156 del 20 ottobre 2016 riguardante l’immissione di nuovi codici CER dopo un primo annullamento giurisdizionale, ARPA Lazio fin dalla nota prot. 53916 del 2 luglio 2015, avesse richiamato l’attenzione “sulla necessità di documentare l’effettiva natura inerte dei rifiuti ammessi in discarica, con particolare riferimento a quelli il cui codice CER, definito nell’allegato D alla parte IV del D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i. e riportato nel capitolo 3 del Protocollo inviato dalla Società, non dà garanzia a priori sull’effettiva natura inerte del rifiuto stesso”.
In quella nota l’ARPA evidenziava, altresì, che “a fronte dell’ampio numero di tipologie di rifiuti che la società chiede di poter gestire, si vuole richiamare l’attenzione sul fatto che debba essere prevista una approfondita verifica per i rifiuti che potrebbero per effettive caratteristiche chimico/fisiche non essere “inerti” secondo la definizione di legge richiamata (come ad esempio i fanghi prodotti dal trattamento di effluenti industriali e delle acque reflue urbane, il compost fuori specifica, i rifiuti il cui codice CER può identificare una vasta gamma di tipologie quale il 191212, ecc. ecc.)”.
Gli atti dei procedimenti relativi ai rifiuti da conferire in discarica sono necessariamente collegati e, anzi, propedeutici a quello per cui è causa, riguardante la variante per l’impianto di trattamento del percolato al servizio della discarica. In tali procedimenti è risultata dubbia la natura “inerte” di alcuni codici CER conferiti in discarica, come evidenziato dall’ARPA, e, viepiù, risulta dubbio perfino se la discarica in questione sia realmente una discarica per soli inerti o se tratti, a ben vedere, anche rifiuti di diversa natura.
Non va dimenticato, in proposito, che nella sentenza n. 5274/16 il T.A.R., dopo aver prescritto il riavvio del procedimento per l’autorizzazione all'introduzione di ulteriori codici CER, nel suggerire alcuni accorgimenti che avrebbero potuto rendere più coerente e completa l’azione amministrativa, osservava: “Qualora poi, per effetto di una rinnovata e più approfondita ed aggiornata istruttoria, la Regione dovesse avvedersi di un eventuale intento di parte orientato a far modificare in modo sostanziale l’assenso alla discarica di cui già dispone (da discarica per inerti a discarica di rifiuti di natura diversa), la stessa avrà altresì modo di valutare se ed in quale misura le circostanze di fatto ed ambientali siano in grado di prendere in considerazione un tale più ampio intento di Idea4, alla luce peraltro degli interessi altresì coinvolti delle altre parti privati e di quelli di più generale e pubblica natura”.
La Regione, quindi, era perfettamente edotta della eventualità che l’obiettivo realmente perseguito da Idea 4 S.r.l., nell'inoltrare richieste diverse scaglionate nel tempo di pochi giorni, potesse essere perfino quello di far modificare in modo sostanziale l’assenso alla discarica di cui dispone, non foss’altro perché tale eventualità era stata evidenziata in una pronuncia giurisdizionale.
Idea 4 S.r.l. era quindi stata autorizzata a realizzare un impianto di trattamento del percolato, rifiuto definito col codice CER 190703 (percolato di discarica, non contenente sostanze pericolose), che risulta prodotto dalla discarica di Magliano Romano in quantità piuttosto elevate (6 tonnellate/h per 8 ore al giorno per un totale di 48 t/giorno e 13.722,76 tonnellate di rifiuto annuo), nonostante il gestore avesse dichiarato che i rifiuti inerti gestiti nella discarica non producevano percolato e che, ai sensi dell'art. 2 lett. e) della direttiva 1999/31, "la tendenza dei rifiuti inerti a dar luogo a percolati e la percentuale inquinante globale del rifiuti nonché l’ecotossicità dei percolati devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque superficiali e sotterranee".
Ma la produzione di 48 tonnellate di percolato, come da progetto approvato, non può essere considerata un quantitativo trascurabile per una discarica che, per definizione, è per inerti e nella quale, ai sensi dell'art. 7 D.Lgs. 36/2003, non possono essere ammessi rifiuti non inerti: il Collegio ha pertanto ribadito che vada accertato, al di là di ogni dubbio, la natura inerte di tutti i codici CER immessi prima di qualunque autorizzazione al trattamento chimico fisico del percolato prodotto in discarica, atteso che dalla natura dei primi e dai controlli sugli stessi, deriva l’accertamento della natura di refluo piuttosto che di rifiuto liquido di ciò che esita dal trattamento del secondo.
Adesso la Regione dovrà riavviare ex novo il procedimento, tenendo conto di tutte le indicazioni fornite nella sentenza, possibilmente convogliando in un unico procedimento le diverse e pressoché coeve istanze presentate dalla società Idea 4 relativamente al complessivo impianto di Monte della Grandine, ovvero comunque collazionando in ciascun procedimento le risultanze degli atti acquisiti negli altri, in modo da pervenire all'adozione di provvedimenti il più possibile completi, che tengano conto di tutti i complessi profili di rischio ambientale, nel rispetto del principio di precauzione.