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mercoledì 23 gennaio 2019

Arriva il regolamento del verde... ma si poteva fare di più!

Il 16 gennaio, l'Amministrazione capitolina ha approvato il Regolamento Capitolino del verde pubblico e privato e del paesaggio rbano di Roma Capitale, un documento indispensabile (scaricalo qui), atteso da anni e realizzato anche confrontandosi - tra le altre associazioni - con i Gruppi Ricerca Ecologica Lazio.

A nostro avviso il regolamento è un grande risultato da un punto di vista amministrativo, che per la prima volta mette ordine e addirittura regolamenta ex novo la materia. Non senza innovazioni interessanti, quali la possibilità di "adottare" aree verdi.

Su alcuni punti però ci saremmo attesi uno sforzo maggiore. Vediamoli nel dettaglio:

Nel caso dei trattamenti fitosanitari, in primis: la Direttiva europea 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e la normativa di recepimento e attuazione a livello nazionale (Dlgs. 150/2012, DM n. 35 del 22/1/2014) hanno evidenziato la necessità di valutare l’utilizzo di tali prodotti in termini di pericolosità partendo da realtà che già prevedono la tutela di specie e habitat protetti (Direttiva Habitat e Uccelli). Rispetto al regolamento avremmo auspicano gli interventi di diserbo fossero sempre e comunque ad impatto zero, e non solo lungo le sponde dei fossi, dei canali, degli argini dei fiumi, delle aree incolte in genere: su tale orientamento c'è anche un impegno assunto dal Governo a seguito della P.D.L. 9/00302-A/009 dell'onorevole Massimiliano Bernini (M5S). Anche all'art.23 si parla ancora di indefiniti "prodotti sostenibili", mentre già il MATTM di concerto con il MIPAAF hanno adottato il Decreto 15 febbraio 2017  "Adozione dei criteri ambientali minimi da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d’appalto per l’esecuzione dei trattamenti fitosanitari sulle o lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade", che ha ufficializzato i criteri ambientali minimi da utilizzare nelle gare di appalto per i trattamenti – quasi esclusivamente diserbi – di strade, autostrade e ferrovie, ed attua i punti A.5.4. e A.5.5. del Pan, che prevedeva la fissazione di criteri ambientali minimi per gli appalti in materia di trattamenti di strade, autostrade e ferrovie, entro due anni dall’entrata in vigore del Piano (13 febbraio 2014 – come indicato nel decreto 22 gennaio 2014): in perfetta sintonia con i provvedimenti originali, il decreto prevede che anche negli appalti per i trattamenti di strade, autostrade e ferrovie si tenda a sostituire i prodotti fitosanitari con l’utilizzo di mezzi fisici e meccanici (es. sfalcio, pirodiserbo, pacciamatura, utilizzo di vapore e/o di schiume), che costituiscono peraltro l’unica alternativa nei siti della Rete Natura 2000 e nelle aree naturali protette. Non si potranno proporre formulati contenenti sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione di categoria 1A (non ce ne sono, ad eccezione del rodenticida Warfarin, peraltro privo di autorizzazioni in Italia) e 1B (tre sostanze attive – epoxiconazole, glufosinate e linuron – con autorizzazioni in Italia) o classificati come altamente tossici per l’ambiente acquatico (riportanti in etichetta una delle indicazioni di pericolo H400, H410, H413 o R50, R53, R50/53 nel caso di scorte che in ogni caso non potranno più essere vendute dopo il 1° giugno 2017).  Non sono bene accetti nemmeno i prodotti classificati con le frasi SPe1, SPe2, SPe3, Spe8, che indicano vari tipi di limitazione imposta dalla valutazione delle proprietà ambientali del formulato (es. divieto di utilizzo in certi terreni, utilizzo di buffer zones e/o ugelli antideriva etc.), quelli tossici e molto tossici, cancerogeni/mutageni/tossici per la riproduzione di categoria 2 (che in Europa e Italia sono decisamente più frequenti: 22 sostanze attive cancerogene approvate, 1 sola mutagena e 20 tossiche per la riproduzione) e nemmeno i sensibilizzanti per la pelle e per le vie respiratorie, oltre ai prodotti riportanti in etichetta frasi indicanti danni a vari organi per esposizione acuta o cronica e per i lattanti allattati al seno. E nel caso di corpi idrici i trattamenti dovranno fermarsi in ogni caso almeno a 10 metri (5 se si utilizzano ugelli antideriva) da corpi idrici o più lontano se ciò è previsto nell’etichetta autorizzata. 
L'art.39 del regolamento - Difesa fitosanitaria, invece, dice semplicemente che "I trattamenti contro parassiti, patogeni e infestanti, devono essere realizzati preferibilmente ricorrendo a criteri colturali, alla lotta biologica o a sostanze chimiche di bassa o nulla tossicità sull'uomo, sulla fauna e sulla flora selvatica. I trattamenti chimici devono essere possibilmente eseguiti in base ai principi della lotta integrata. (in conformità al D.L.gl. 150 del 14 agosto 2012 e s.m. e i. in recepimento della Direttiva UE sull'uso sostenibile dei pesticidi, l'agricoltura integrata diventa obbligatoria su tutto il territorio italiano, come su tutto il territorio UE)"... si poteva oggettivamente fare di più. Così come, dal momento che non si è ritenuto di escludere la chimica, era sicuramente meglio obbligare che il cartello di avviso del trattamento previsto dal comma 3, recasse anche il nome del principio attivo utilizzato e le informazioni relative al soggetto incaricato di eseguire l'intervento, al responsabile ed ai numeri da contattare in caso di emergenza.

L'allegato 9 disciplina gli interventi e tipologie di potature: pur biasimandola pesantemente, avrebbe dovuto espressamente vietare la tecnica della capitozzatura degli alberi, una pratica vietata in altri Paesi europei e punita con severe multe: trattandosi di un taglio all'internodo sia delle grosse branche ad andamento verticale che delle ramificazioni laterali, è sempre da evitare perché ha spesso come conseguenza lo sviluppo di carie del legno prodotte da agenti fungini, fino alla morte del ramo o della branca. Inoltre stimola la produzione di vegetazione epicormica in prossimità della superficie del taglio che per molti anni rimane male inserita (assenza del collare del fusto) o inserita su un punto di potenziale debolezza per lo sviluppo di carie interne. Con la capitozzatura, poi, vengono eliminate le gemme dormienti contenute all’interno del legno le quali originano rami sani, ben formati e ben ancorati: in pratica, dopo la capitozzatura, la nuova chioma trae origine da gemme avventizie che producono numerosi rami detti succhioni (che entrano in concorrenza tra loro) i quali si differenziano dai rami normali in quanto non sono saldamente ancorati alle branche e sono caratterizzati da una maggiore vigoria vegetativa e quindi minore lignificazione che li rende più facilmente esposti a rotture e schianti. A Roma, comunque, la capitozzatura verrà sanzionata.

Per gli impianti, inoltre, ogni albero dovrebbe sempre avere almeno 1,5-2 mq di superficie libera a disposizione per consentire alle radici di effettuare gli scambi gassosi con l’aria, meglio se si lascia loro un’intera striscia (minore manutenzione con minori costi; più sicurezza stradale e per il cittadino, più ossigeno da fotosintesi; miglioramento paesaggistico e vantaggi per salute e turismo). 
Infine, ci saremmo attesi indicazioni più precise circa il taglio delle radici degli alberi ad alto fusto, che comunque per la particolare composizione dei terreni tipici di Roma (pozzolane miste a limi poco addensati e argille plastiche poco consistenti derivanti dal processo di argillificazione secondaria delle vulcaniti) andrebbe accuratamente evitato soprattutto per i pini domestici a una distanza inferiore a 4 – 5 metri dal fusto, come ad esempio previsto dal “Regolamento Scavi” di Roma Capitale adottato dal Commissario Straordinario il 31.3.2016 nella sua versione più aggiornata: di contro, interventi ad una distanza significativamente inferiore a quanto permesso configurerebbero a tutti gli effetti una “costrizione edificatoria degli alberi” altamente dannosa e pregiudizievole per gli alberi stessi in quanto il taglio delle radici, debilitando le piante, ed aumentando il rischio di attacco da parte di funghi agenti del marciume radicale tipo Armillaria spp. e Heteobasidion spp., e nel tempo condurrà alla distruzione delle cellule legnose radicali, alterando la loro attività e generando squilibri sia nell’attività di assorbimento dei nutrienti che nell’ancoraggio degli alberi al suolo, finanche con potenziale rischio di schianto.