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venerdì 10 aprile 2020

Il piano paesaggistico prevale sempre sui piani comunali

Il Consiglio di Stato ha ulteriormente ribadito il rapporto di primazia dei piani paesaggistici (e di controllo funzionali alla tutela degli interessi di conservazione dell’ambiente e del paesaggio) rispetto agli altri strumenti di governo del territorio.
Tale principio, declinato dalla giurisprudenza di ogni grado [1] sin dall'entrata in vigore della legge Galasso ed espresso da ultimo dall’art.145, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), è preordinato ad assicurare una salvaguardia del paesaggio di tipo dinamico che non tenga conto delle eventuali modifiche della pianificazione urbanistica preesistente ma che possa anche prevedere il coordinamento di interventi di miglioramento della situazione anche mediante il recupero di aree degradate ricomprese fra quelle da conservare [2] ed opera anche nei confronti delle disposizioni previste negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale delle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette, né tantomeno sono suscettibili di deroga da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico. 
Pertanto i contenuti dei piani paesaggistici sono prevalenti sugli strumenti urbanistici che sono tenuti a conformarvisi: la necessità di coordinamento, tuttavia, fa sì che tale prevalenza non si traduca in una mera imposizione di vincoli e limiti che paralizzino le attività economico-sociali in virtù della tutela paesaggistica ma sia rivolta alla proposizione di progetti e attività di incentivazione e recupero dei valori ambientali, anche ai sensi della Convenzione europea del paesaggio che vede una pianificazione in grado di aggiungere utilità e prospettive di sviluppo.
Ai Comuni tocca la funzione di completare, alla luce delle caratteristiche del territorio, le previsioni conformative dettate dalla Regione, laddove siano limitate a tratteggiare per ampie linee prescrizioni ed indirizzi. Alla Regione, invece, spetta non solo il compito di tipizzare, ma anche individuare in modo puntuale ed inequivoco gli immobili o le aree da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione.
Ma leggiamo la sentenza del Consiglio di Stato.

[1] la Corte Costituzionale ha affermato, nella nota sentenza n. 367/2007, la rilevanza del valore primario e assoluto del paesaggio, in grado, per queste sue proprietà di sovrapporsi e prevalere rispetto alle pianificazioni urbanistiche ed è in siffatta più ampia prospettiva che, dunque, si colloca il principio della gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, espresso dall’art.145 del d.lgs. n. 42 del 2004, che, al tempo stesso, è considerata norma interposta in riferimento all’art.117 Cost. in materia di “conservazione ambientale e paesaggistica” ed esprime un principio fondamentale in materia di “governo del territorio” è valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Tale sentenza richiama nella definizione del paesaggio quale valore “primario” alle sentenze n. 151/1986 e n. 182 e n. 183 del 2006, ed anche “assoluto”, se si tiene presente che il paesaggio indica essenzialmente l’ambiente (sentenza n. 641/1987).

[2] TAR Lazio, sez. I, sent. n. 1270/1989.

SENTENZA N.1355 pubblicata  il 24 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 3614 del 2019, proposto dal signor [omissis], rappresentato e difeso dall'avvocato [omissis], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato [omissis], con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di Racale, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Lecce – Sezione prima, n. 1579 del 26 ottobre 2018, resa tra le parti, concernente le previsioni del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale della Puglia relative alla località Torre Suda nel Comune di Racale.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il consigliere [omissis] e uditi, per l’appellante, l’avvocato [omissis], su delega dell’avvocato [omissis] e, per la Regione Puglia, l’avvocato [omissis], su delega dell’avvocato [omissis];

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il signor [omissis], congiuntamente al signor [omissis], ha impugnato al Tar per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, il Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (di seguito PPTR) approvato con delibera della Giunta regionale n. 176 del 16 febbraio 2015, nella parte in cui ha imposto una fascia di rispetto per la grotta costiera e per la torre di sua proprietà in località Torre Suda nel Comune di Racale.

1.1. In particolare, relativamente all'area di proprietà del ricorrente, qualificata nel Piano di Fabbricazione del Comune di Racale in parte come zona F3 (attrezzature sportive/spazi attrezzati per il gioco e lo sport) ed in parte F speciale (attrezzature economiche varie), il PPTR ha previsto una fascia di rispetto intorno alla torre ed una per la grotta costiera, entrambe con un raggio di mt. 100.

1.2. Le suddette previsioni del PPTR sono state quindi contestate sulla base di diversi profili di censura essenzialmente riconducibili:

– alla mancata partecipazione al procedimento di pianificazione;
– all'irragionevolezza dei vincoli apposti che hanno determinato un sovradimensionamento del vincolo di 100 mt. già esistente per la fascia costiera, soprattutto con riferimento all'ulteriore zona di rispetto prevista per la grotta, peraltro introdotta per la prima volta solo nella versione finale del PPTR;
– alle conseguenze derivanti dalle previsioni del PPTR, soprattutto per la grotta, che di fatto costituirebbero una forma di esproprio, impedendo ogni tipo di intervento edilizio in quell'ambito;
– alla circostanza che non sarebbero più consentite le attività previste dal Piano di Fabbricazione del Comune di Racale;
– alla contraddittorietà delle previsioni del PPTR con quelle del Piano di Fabbricazione che ha qualificato l’area come F3 e F speciale.

2. Il Tar di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso, rilevando innanzitutto come i ricorrenti avessero potuto partecipare al procedimento mediante l’invio di osservazioni. Lo stesso Tribunale ha poi ritenuto infondati gli ulteriori motivi di ricorso.

2.1. Quanto all'ulteriore vincolo di rispetto previsto per la “Grotta”, non sussistente nella versione del piano adottato, il Tar ha evidenziato come lo stesso fosse scaturito dall'accoglimento di un’osservazione, presentata dalla Federazione Speleologica Pugliese, nell'ambito della quale si era evidenziato l’errore in cui era incorso il pianificatore nel non tener conto dell’inserimento della grotta al n. 512 del Catasto delle grotte pugliesi, istituito ai sensi della legge regionale n. 31 del 1986, recante “Tutela e valorizzazione del patrimonio speleologico – norme per lo sviluppo della speleologia”.

2.2. Il giudice di prime cure ha poi ritenuto infondata sia la censura con la quale i ricorrenti hanno sostenuto l’irragionevolezza e la sproporzionalità della previsione del buffer di 100 mt. (alla luce dell’art. 78, comma 1, delle NTA al PPTR che disciplina le “Aree di rispetto delle componenti culturali e insediative”, compresa la zona circostante “Torre Suda”, al fine di evitare l’alterazione della integrità visuale ed ogni destinazione d’uso non compatibile con le finalità di salvaguardia), sia quella relativa alla natura espropriativa della stessa (il vincolo imposto sull’area non avrebbe comportato l’inedificabilità assoluta ai sensi dell’art. 55 delle NTA al PPTR).

3. Contro la suddetta sentenza ha proposto appello il signor [omissis] sulla base dei seguenti motivi di gravame.

3.1. Violazione degli artt. 2 della legge regionale della Puglia n. 20/2009 e 7 della legge n. 241/1990.

3.1.1. Il vincolo relativo alla grotta costiera, assente in sede di adozione del PPTR, è stato apposto in violazione del sub procedimento relativo alla possibilità di presentare osservazioni.

3.2. Eccesso di potere per illogicità.

3.2.1. Sarebbe stato previsto un buffer di 100 mt., soprattutto con riferimento alla grotta, in modo indiscriminato su un’area già interessata da interventi di modificazione del territorio (quali una strada litoranea ed alcune opere di urbanizzazione).

3.3. Contraddittorietà dell’azione amministrativa.

3.3.1. Evidenzia l’appellante che nelle zone di rispetto sarebbero comunque in corso interventi di sistemazione con scavi e sbancamenti connessi alla realizzazione di strade ed opere di urbanizzazione.

3.4. Illogicità del vincolo imposto a tutela della torre.

3.4.1. L’esistenza di una strada provinciale litoranea costituirebbe una censura urbanistica netta che renderebbe il vincolo relativo alla torre, che va oltre la stessa, irrilevante. Peraltro, lo stesso vincolo sarebbe stato illogicamente posto in sovrapposizione con la fascia di rispetto costiera ed il vincolo paesaggistico.

4. La Regione Puglia si è costituita in giudizio il 28 maggio 2019, chiedendo il rigetto dell’appello. La stessa Amministrazione ha ribadito l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo il quale avrebbe avuto ad oggetto esclusivamente le previsioni del PPTR e non la conseguente disciplina dell’area e comunque non avrebbe indicato le specifiche norme dello stesso Piano che avrebbero dovuto essere annullate. La Regione ha anche eccepito l’inammissibilità del ricorso in appello, stante l’indeterminatezza e la genericità dei motivi proposti che si sarebbero limitati a ripetere quelli dedotti in primo grado.

5. L’appellante e la Regione Puglia hanno poi depositato ulteriori scritti difensivi.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza pubblica del 12 dicembre 2019.

7. L’appello è sia inammissibile che infondato nel merito e deve essere respinto nella sua globalità.

8. Il ricorso in esame, come evidenziato anche dalla Regione Puglia, si è sostanzialmente tradotto nella riproposizione dei motivi di primo grado, senza specificazioni in ordine ai profili di contestazione delle conclusioni del giudice di prime cure.

8.1. In concreto, l’appellante, ferma la necessaria sinteticità degli scritti difensivi, è venuto meno al dovere minimo di specificità dei motivi di appello previsto dall'art.101, comma 1, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 4413 del 2018; Sez. V, n. 398 del 2014). Con la conseguenza che il ricorso, nella sua globalità, si presenta inammissibile.

8.2. In ordine alla natura, al fondamento ed alla consistenza dei doveri di chiarezza e specificità (degli scritti delle parti e in particolare degli atti di impugnazione), ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, il Collegio non intende, infatti, discostarsi dai principi elaborati dalla giurisprudenza (da ultimo esaustivamente, anche per i richiami ivi contenuti Cons. Stato, sez. IV, n. 4636 del 2016), secondo i quali gli artt. 3, 40 e 101 c.p.a. intendono definire gli elementi essenziali del ricorso, con riferimento alla causa petendi (i motivi di gravame) ed al petitum, cioè la concreta e specifica decisione richiesta al giudice. In sostanza, con riguardo alla stesura dei motivi, lo scopo delle disposizioni è quello di incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e, nel caso del giudizio di appello, non meramente ripetitivi dei profili dedotti in primo grado.

9. Ciò premesso, l’appello è comunque palesemente infondato nel merito.

10. Innanzitutto va rilevato che le censure svolte riguardano il merito delle scelte pianificatorie della Regione Puglia. Tali scelte sono ampiamente discrezionali con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo è ipotizzabile solo nei ristretti limiti relativi all'evidenza di errori di fatto o di abnormi illogicità (cfr. fra le tante Cons. Stato, Sez. IV, n. 1151 del 2019 e n. 4071 del 2018).

11. In secondo luogo, all'atto dell’approvazione del piano paesaggistico da parte della Regione, si potevano apportare modifiche ai fini di tutela ambientale, come quella relativa alla zona di rispetto della grotta, senza necessità di una nuova pubblicazione. Tali modifiche sono state coerenti con le direttrici dello stesso piano e non hanno prodotto un suo stravolgimento che avrebbe comportato la rinnovazione della procedura in parte qua (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 4037 del 2017; n. 2297 del 2006; 4980 del 2003; 6178 del 2000 – sentenze che contengono principi riferiti al PRG esportabili anche al caso in esame).

12. In ogni caso, la modifica relativa alla zona di rispetto per la grotta costiera è stata una rettifica conseguente all'osservazione formulata dall'associazione speleologica in ordine al vincolo già esistente per l’iscrizione della stessa al n. 512 del Catasto delle grotte pugliesi. Peraltro, sul punto l’appellante, che ha lamentato la mancata possibilità di partecipazione, non ha comunque indicato quale sarebbe stato il suo apporto in senso diverso.

13. Quanto alla illogicità delle scelte operate dalla Regione ed al conseguente difetto di motivazione, va rilevato che non occorre una specifica motivazione sulle opzioni pianificatorie adottate quando le stesse sono coerenti con le direttrici del medesimo piano paesaggistico. Né l’eventuale compromissione del territorio impedisce l’apposizione del vincolo finalizzato ad impedire l’ulteriore degrado e a rilanciare la riqualificazione dell’area (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 3770 del 2009). E neppure è d’ostacolo una precedente previsione urbanistica più favorevole al privato, che comunque non può vincolare l’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 5547 del 2016).

14. D’altra parte, i piani paesaggistici sono in cima alla piramide degli strumenti di pianificazione del territorio e ad essi devono conformarsi in caso di contrasto gli altri strumenti urbanistici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 5658 del 2015 e Sez. IV, n. 4244 del 2010).

15. Infine, fermo restando che il PPTR ha consentito alcune utilizzazioni dell’area da parte del privato (opere a rete di pubblica utilità, ristrutturazione di edifici, infrastrutture al servizio edifici esistenti), è del tutto infondata, in diritto, la tesi sulla natura ablativa delle previsioni dello stesso, tenuto conto che il vincolo ambientale non ha mai natura espropriativa e non deve essere accompagnato da indennizzo (cfr. fra le tante Cons. Stato, Sez. IV, n. 2205 del 2018).

16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.

17. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

18. Il Collegio rileva, inoltre, che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, 2205 del 2018; n. 2879 del 2017; 5497 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo Sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).

A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura di euro 2.000 (cfr. sul punto, fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, n. 2205 del 2018; n. 2116 del 2018; n. 364 del 2017; cui si rinvia a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite del presente grado, liquidate in euro 6000,00(seimila/00), oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, in favore della Regione Puglia.

Condanna, altresì, l’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della somma di euro 2000,00 (duemila/00) da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati: [omissis]