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giovedì 25 gennaio 2018

Firma la petizione per salvare le api europee

Apis mellifera sicura (foto di C. Amodeo)

Ancora un piccolo sforzo e la petizione lanciata da Pollinis e sostenuta dai Gruppi Ricerca Ecologica Lazio per proteggere le api nere e le altre specie indigene europee taglierà il traguardo 200.000 sottoscrittori.
In tutta Europa diversi ecotipi locali di api presenti nel nostro continente per milioni di anni sono minacciati di estinzione da pratiche agricole intensive e dall'apicoltura industriale, senza che nessuno strumento legale proteggesse sia loro che gli apicultori impegnati nella loro conservazione.
Per ovviare a ciò, la relazione della Commissione AGRI "Prospettive e sfide per il settore apicolo dell'UE" ha inteso porre la base per la tutela legale delle specie di api locali e dei conservatori che assicurano la loro conservazione, ma se ne vorrebbero emendare gli articoli 176, 187, 188, 191, 350, 365, 376, 386, 389 e 392, vanificandone la portata.
E' per questo, per tutelare le api da un massivo declino con conseguenze drammatiche per l'offerta alimentare e per la salute delle future generazioni, che chiediamo di sostenere questi articoli che attueranno protezioni legali per le specie locali, garantendo la sopravvivenza a lungo termine di queste api che in tutto il nostro continente si sono adattate geograficamente e climaticamente.
In Italia  l’ape nera sicula (Apis mellifera siciliana) ha popolato per millenni la Sicilia.
Negli anni ’70 gli apicoltori siciliani sostituirono i bugni di legno di ferula (le casse a forma di parallelepipedo usate come arnie) e iniziarono a importare api ligustiche dal nord Italia, abbandonando questa specie caratterizzata da un adome scurissimo, una peluria giallastra e le ali sono più piccole: ed è molto docile nonostante, il miotipo genetico africano, tipico di api nere molto aggressive), molto produttiva.
A un passo dalla totale estinzione, un allievo dell'entomologo siciliano Pietro Genduso, Carlo Amodeo, ne trovò casualmente alcune famiglie in alcuni bugni in un baglio di Carini e le conservò in isolamento sulle isole di Vulcano e Filicudi
La nera sicula sviluppa precocemente la covata, tra dicembre e gennaio, evitando quindi il blocco della covata invernale comune alle altre specie, e consuma meno miele delle altre api. Il miele di ape nera sicula non è invece diverso, dal punto di vista organolettico, da quello prodotto con le api di altre razze

venerdì 19 gennaio 2018

Regolamento del Verde e del Paesaggio di Roma, chiediamo stop al glifosate e basta capitozzature

Bordo strada diserbato con glifosate
L'Assessora alla Sostenibilità Ambientale di Roma Capitale, Giuseppina Montanari, ci ha richiesto, insieme agli altri componenti del Forum Ambiente, di esprimerci in merito alla bozza di nuovo Regolamento del Verde e del Paesaggio urbano.
Il documento trasmessoci è però deficitario, a nostro avviso, di alcuni principi cardine che abbiamo chiesto di recepire: in primis, non vieta categoricamente la possibilità di diserbare con prodotti chimici, attività effettuata principalmente con prodotti a base del cancerogeno glifosato.
Eppure la Direttiva europea 2009/128/CE sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e la normativa di recepimento e attuazione a livello nazionale (Dlgs. 150/2012, DM n. 35 del 22/1/2014) hanno già evidenziato la necessità di valutare l’utilizzo di tali prodotti in termini di pericolosità partendo da realtà che già prevedono la tutela di specie e habitat protetti (Direttiva Habitat e Uccelli). 
Rispetto al regolamento proposto riteniamo che gli interventi di diserbo debbano essere sempre e comunque ad impatto zero, e non solo lungo le sponde dei fossi, dei canali, degli argini dei fiumi, delle aree incolte in genere  (art.14): eppure su tale orientamento c'è anche un impegno assunto dal Governo a seguito della P.D.L. 9/00302-A/009 dell'onorevole Massimiliano Bernini, appartenente al Movimento 5 Stelle, lo stesso partito della Sindaca Raggi e della maggioranza capitolina. 
Anche all'art.23 si parla ancora di indefiniti "prodotti sostenibili", mentre già il Ministero dell'Ambiente (di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole) ha adottato il Decreto 15 febbraio 2017 "Adozione dei criteri ambientali minimi da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d’appalto per l’esecuzione dei trattamenti fitosanitari sulle o lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade", che ha ufficializzato i criteri ambientali minimi da utilizzare nelle gare di appalto per i trattamenti – quasi esclusivamente diserbi – di strade, autostrade e ferrovie, ed attua i punti A.5.4. e A.5.5. del Pan, che prevedeva la fissazione di criteri ambientali minimi per gli appalti in materia di trattamenti di strade, autostrade e ferrovie, entro due anni dall’entrata in vigore del Piano (13 febbraio 2014 – come indicato nel decreto 22 gennaio 2014): in perfetta sintonia con i provvedimenti originali, il decreto prevede che anche negli appalti per i trattamenti di strade, autostrade e ferrovie si tenda a sostituire i prodotti fitosanitari con l’utilizzo di mezzi fisici e meccanici (es. sfalcio, pirodiserbo, pacciamatura, utilizzo di vapore e/o di schiume), che costituiscono peraltro l’unica alternativa nei siti della Rete Natura 2000 e nelle aree naturali protette. Non si potranno proporre formulati contenenti sostanze cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione di categoria 1A (non ce ne sono, ad eccezione del rodenticida Warfarin, peraltro privo di autorizzazioni in Italia) e 1B (tre sostanze attive – epoxiconazole, glufosinate e linuron – con autorizzazioni in Italia) o classificati come altamente tossici per l’ambiente acquatico (riportanti in etichetta una delle indicazioni di pericolo H400, H410, H413 o R50, R53, R50/53 nel caso di scorte che in ogni caso non potranno più essere vendute dopo il 1° giugno 2017).  Non sono bene accetti nemmeno i prodotti classificati con le frasi SPe1, SPe2, SPe3, Spe8, che indicano vari tipi di limitazione imposta dalla valutazione delle proprietà ambientali del formulato (es. divieto di utilizzo in certi terreni, utilizzo di buffer zones e/o ugelli antideriva etc.), quelli tossici e molto tossici, cancerogeni/mutageni/tossici per la riproduzione di categoria 2 (che in Europa e Italia sono decisamente più frequenti: 22 sostanze attive cancerogene approvate, 1 sola mutagena e 20 tossiche per la riproduzione) e nemmeno i sensibilizzanti per la pelle e per le vie respiratorie, oltre ai prodotti riportanti in etichetta frasi indicanti danni a vari organi per esposizione acuta o cronica e per i lattanti allattati al seno. E nel caso di corpi idrici i trattamenti dovranno fermarsi in ogni caso almeno a 10 metri (5 se si utilizzano ugelli antideriva) da corpi idrici o più lontano se ciò è previsto nell’etichetta autorizzata.

Platano capitozzato... eppure lo spazio per svilupparsi era sufficiente
Laddove regolamenta gli Interventi e tipologie di potature (ovvero, l'Art.8), il regolamento comunque contempla la capitozzatura, una pratica vietata in altri Paesi europei e punita con severe multe: si tratta di un taglio (orribile anche esteticamente) all'internodo sia delle grosse branche ad andamento verticale che delle ramificazioni laterali, ed è sempre da evitare perché ha spesso come conseguenza lo sviluppo di carie del legno prodotte da agenti fungini, fino a portare alla morte del ramo o della branca. Inoltre stimola la produzione di vegetazione epicormica in prossimità della superficie del taglio, che per molti anni rimane male inserita (assenza del collare del fusto) o inserita su un punto di potenziale debolezza per lo sviluppo di carie interne. Con la capitozzatura, poi, vengono eliminate le gemme dormienti contenute all’interno del legno le quali originano rami sani, ben formati e ben ancorati: in pratica, dopo la capitozzatura, la nuova chioma trae origine da gemme avventizie che producono numerosi rami detti succhioni (che entrano in concorrenza tra loro), i quali si differenziano dai rami normali in quanto non sono saldamente ancorati alle branche e sono caratterizzati da una maggiore vigoria vegetativa e quindi minore lignificazione che li rende più facilmente esposti a rotture e schianti delle piante. E sappiamo bene a Roma quanto frequenti siano gli schianti di alberature stradali, purtroppo anche con conseguenze gravi per persone transitanti in quel momento nel raggio di caduto.

Per i nuovi impianti, inoltre, ogni albero dovrebbe avere almeno 1,5-2 mq di superficie libera a disposizione per consentire alle radici di effettuare gli scambi gassosi con l’aria, meglio se si lascia loro un’intera striscia: ciò permette di ottenere una minore manutenzione con minori costi; più sicurezza stradale e per il cittadino, più ossigeno da fotosintesi; miglioramento paesaggistico e vantaggi per salute e turismo.

Esemplare di pinus pinea in piazza delle Cinque Giornate, poi schiantatosi il 23 ottobre 2017 a causa di uno sprovveduto tagli delle radici effettuato in passato
Infine, nel regolamento non c'è alcuna indicazione precisa circa il taglio delle radici degli alberi ad alto fusto, che comunque per la particolare composizione dei terreni tipici di Roma (pozzolane miste a limi poco addensati e argille plastiche poco consistenti derivanti dal processo di argillificazione secondaria delle vulcaniti) andrebbe accuratamente evitato soprattutto per i pini domestici a una distanza inferiore a 4 – 5 metri dal fusto, come ad esempio previsto dal “Regolamento Scavi” di Roma Capitale adottato dal Commissario Straordinario il 31.3.2016 nella sua versione più aggiornata: di contro, interventi ad una distanza significativamente inferiore a quanto permesso configurerebbero a tutti gli effetti una “costrizione edificatoria degli alberi” altamente dannosa e pregiudizievole per gli alberi stessi in quanto il taglio delle radici, debilitando le piante, ed aumentando il rischio di attacco da parte di funghi agenti del marciume radicale tipo Armillaria spp. e Heteobasidion spp., e nel tempo condurrà alla distruzione delle cellule legnose radicali, alterando la loro attività e generando squilibri sia nell’attività di assorbimento dei nutrienti che nell’ancoraggio degli alberi al suolo, finanche con potenziale rischio di schianto.
Purtroppo, complessivamente registriamo che non c'è alcuna novità nell'impostazione della proposta di regolamento, evidentemente condizionato da vecchie logiche e scarse professionalità.

mercoledì 10 gennaio 2018

I percorsi dell'identità: un viaggio alla riscoperta del territorio e delle nostre radici con i GRE Lazio

I Gruppi Ricerca Ecologica del Lazio sono lieti di presentare il programma delle escursioni organizzate per il 2018: dopo il grande successo delle uscite del 2017, ecco sei tappe per riscoprire la storia e i paesaggi che ci circondano.

Si parte il 15 aprile sul Monte Soratte (in provincia di Roma), dove percorreremo l'anello della montagna "sacra" ai romani. 

Il 20 maggio percorreremo gli antichi sentieri dei popoli Falisci nel Parco del Treja (in provincia di Viterbo). 

Il 17 giugno domineremo dall'alto del Picco di Circe (in provincia di Latina) le isole ponziane, l'intera costa laziale meridionale ed il litorale domitio

Il 16 settembre andremo lungo la via dei monasteri fino al lago di San Benedetto, nella Valle dell'Aniene (in provincia di Roma). 

Il 28 ottobre scaleremo il Monte Giano fino a sovrastare le gole del fiume Velino (in provincia di Rieti). 

Il 10 novembre riscopriremo il sentiero Coleman ed il sentiero del lupo sui Monti Lucretili, da Tivoli in direzione di San Polo dei Cavalieri (in provincia di Roma).

Uscita per uscita forniremo tutte le informazioni utili sui percorsi e per la partecipazione. Quasi tutti gli appuntamenti, ad ogni modo, sono di livello turistico e programmati per essere accessibili anche alle famiglie con bambini.

Il trekking è in notevole crescita negli ultimi anni: soddisfare la necessità di fuggire dagli schemi quotidiani della città, ritrovare quel senso di appartenenza alla nostra storia e ai nostri paesaggi, ripercorrere i passi dei nostri padri fino ai giorni nostri, in un territorio che racchiude le radici del nostro presente e della nostra identità.

Le nostre escursioni, oltre ad essere portatrici di benessere psicofisico ed occasione per il monitoraggio e lo studio degli ecosistemi, contribuiscono a riscoprire quel sentimento comunitario e di condivisione con chi marcia al nostro fianco, sul nostro cammino, di valori e sensazioni che ci legano l'un l'altro indissolubilmente.

In poche parole un ritorno a casa,  perché come diceva Tolkien: "Le radici profonde non gelano".

giovedì 4 gennaio 2018

Bene i bio-shopper ma si lasci libertà sul pagamento

Il Decreto legge Mezzogiorno (entrato in vigore con la legge di conversione del 3 agosto 2017, n.123) ha sanato una falla normativa in base alla quale gli esercenti aggiravano l’art. 11, comma 2-bis, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. “Decreto competitività”), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, il quale stabiliva che le sanzioni per la commercializzazione dei sacchetti per l’asporto delle merci (“shoppers”) non conformi alle norme di cui al Decreto legge n. 2/2012 (entrato in vigore con la legge di conversione 24 marzo 2012, n. 28) erano direttamente applicabili dalla data di entrata in vigore della norma, ossia dal 21 agosto 2014. 

Sono quindi confermati tutti i criteri di fondo della legge 28/2012 relativa alle sporte della spesa monouso: rimangono commercializzabili i soli shopper monouso biodegradabili e compostabili (ovvero quelli “mollicci” al tatto e ottenuti da amido di mais, di patata o poliestere) certificati Uni EN 13432 o quelli riutilizzabili con percentuali minime di plastica riciclata e spessori ricompresi tra 60 e 200 micron a seconda delle maniglie e degli usi (il contenuto di materia prima rinnovabile di almeno il 40%, che dovrà diventare il 50% a partire dal 1 gennaio 2020 e il 60% dal 1 gennaio 2021) determinato in base allo standard Uni Cen/Ts. Inoltre specifica che gli shopper per uso non alimentare sono solo quelli forniti negli esercizi che commercializzano esclusivamente merci e prodotti diversi dai generi alimentari. Non cambiano le sanzioni vigenti, con multe da 2.500 a 100.000 euro se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica oppure un se il valore delle buste fuori legge è superiore al 10% del fatturato del trasgressore.

Via dunque ai sacchetti senza marchio o con i marchi oggi fuorilegge in Italia, ovvero quelli in polietilene, polietilene a bassa densità e polietilene ad alta densità. Vietati anche i finti sacchetti ecologici (oxodegradabili in polietilene) che in realtà non sono biodegradabili e non sono compostabili anche se riportano scritte e diciture che richiamano all'ecologia e all'ambiente: sono fatti di polietilene (PE) addizionato di sostanze che alla luce frantumano in tanti pezzetti il sacchetto. Non possono essere utilizzati nemmeno i sacchetti di plastica riciclata, riconoscibili dal marchio “Plastica Seconda Vita”, che, grazie alla loro robustezza, si riutilizzano più volte e sono ottenuti da plastica proveniente dalla raccolta differenziata.

La conformità dei sacchetti può essere dimostrata in due modi:

  • con la dicitura di conformità della norma EN 13432:2002 e cercare sul sacchetto la frase “Prodotto biodegradabile conforme alle normative comunitarie EN 13432” che di solito viene riportata lateralmente o nella zona frontale;
  • recando uno dei marchi che attestano la certificazione della biodegradabilità, accompagnati da codice seguito da un numero (Sxxx o 7wxx) riferito a ogni azienda produttrice che deve assicurare anche la tracciabilità.

Mentre in passato il divieto non riguardava i sacchetti per imbustare frutta e verdura in polietilene utilizzati nei reparti ortofrutta dei vari negozi e market, non essendo ritenuti “da asporto” ma a “protezione” dell’alimento, a partire dal 1 gennaio 2018, che siano con o senza manici, anche i sacchi leggeri e ultraleggeri (ossia con spessore della singola parete inferiore a 15 micron) utilizzati per il trasporto di merci e prodotti, a fini di igiene o come imballaggio primario in gastronomia, macelleria, pescheria, ortofrutta e panetteria, devono essere biodegradabili e compostabili. Stop, quindi, anche alla pratica illegale in base alla quale i commercianti rendevano disponibili sacchetti con la scritti "sacchetti a uso interno" per aggirare la normativa.
Alcuni dei marchi che attestano la certificazione di biodegradabilità

Ciò impatterà sicuramente in maniera positiva sull'ambiente, contribuendo soprattutto a ridurre i rifiuti di plastica che finiscono nelle acque interne e nei mari (per un'idea dell'immissione di buste di plastica da Tevere al Tirreno clicca qui). Riteniamo comunque che bisogni porre rimedio anche al problema delle etichette del prezzo che non essendo biodegradabili dovrebbero essere staccate dalle buste bio prima di essere utilizzare come sacchetto per il rifiuto organico domestico, dal momento che la legge non ha obbligato gli esercenti a utilizzare etichette compostabili. A tal proposito, in alcune catene di discount, frutta e verdura vengono pesate in cassa ed il prezzo viene stampato direttamente sullo scontrino senza generare una nuova etichetta.

Quello che lascia ci lascia perplessi è che le nuove buste non potranno essere distribuite gratuitamente e il prezzo di vendita dovrà risultare dallo scontrino o dalla fattura di acquisto delle merci: ovviamente non si parla del sacchetto preso in cassa per trasportare i prodotti acquistati, ma dei sacchetti considerati “leggerissimi”, quelli sotto i 15 micron di spessore, cioè quelli che servono per impacchettare la verdura sfusa e non per portare a casa la spesa, stabilendo non solo che devono essere biodegradabili e compostabili, ma anche che devono essere a pagamento. Perché non lasciare libera la scelta di farli pagare o meno al consumatore, precludendo la possibilità di avviare iniziative promozionali ambientali tra i vari esercenti? Perché obbligare i clienti a sobbarcarsi un costo che, per quanto minimo, è pur sempre fastidioso e rischia di orientarli verso prodotti pre-imballati, come quelli in vaschette di polistirolo?

In molti paesi europei si utilizzano sacchetti riutilizzabili in rete cellulosa
in alternativa a quelli monouso 
Inoltre, il provvedimento - così come è - sembra porre un macigno su ogni buona pratica di riuso dei contenitori riutilizzabili, come quelli realizzati in juta, tessuto, polietilene, polipropilene, tessuto non tessuto, cotone, rete, carta. Se è vero che è in atto una discussione sul rischio sanitario connesso riutilizzo delle buste, potenzialmente esposte a contaminazione batterica di coliformi della famiglia delle Enterobacteriaceae e nel 12% addirittura con tracce di Escherichia coli (a tal proposito, si veda questo studio dell'Università di Loma Linda, in California), in altri paesi sono stati introdotte valide alternative. In Svizzera, nelle Fiandre e in altre zone del nord Europa, ad esempio, vengono utilizzate sacchetti a rete realizzati in cellulosa certificata FSC, riutilizzabili e lavabili in lavatrice a 30°C: è anche possibile riporre diverse varietà di frutta e verdura nella stessa multi-bag incollando tutte le etichette dei prezzi all'esterno della rete.

Riteniamo pertanto che si debba porre mano al più presto alla correzione di tali aspetti, al fine di:
  • eliminare l'obbligo di pagamento in capo ai clienti dei sacchetti biodegradabili e compostabili;
  • rendere obbligatorio per gli esercenti l'utilizzo di etichette compostabili;
  • rendere possibile l'utilizzo di sacchetti a rete riutilizzabili e lavabili, realizzati in cellulosa certificata FSC.