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lunedì 20 luglio 2020

Rocca di Papa, via i tralicci televisivi abusivi

Il TAR del Lazio, con una serie di sentenze speculari pubblicate la settimana scorsa, ha rigettato tutti i ricorsi presentati contro i provvedimenti del Comune di Rocca di Papa per rimuovere una serie di tralicci abusivi sul Monte Cavo. La Sezione Seconda Quater della giustizia amministrativa sposta pertanto il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, in base al quale in un ordinamento costituzionale ove non militano valori “tiranni” l’uno sull'altro, l’interesse all’esercizio del pubblico servizio non si sottrae al dovuto coordinamento con l’altrettanto vitale interesse all'armonico sviluppo del territorio, e alla preservazione di ambiente e paesaggio. Nel ricondurre a legalità l’assetto edilizio, urbanistico e ambientale, perciò, non vi è una incostituzionale compressione della libertà di iniziativa economica, ma piuttosto la necessaria premessa affinché essa sia esercitata in forma compatibile con l’utilità sociale (art. 41 Cost.). Quindi, la circostanza che l’amministrazione non abbia rinvenuto un sito alternativo dal quale irradiare il segnale potrà rilevare ad altri fini, ma non certo elidere l’abusività delle opere. 

Ma leggiamo una delle sentenze...

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale [omissis] del 2019, proposto da
[omissis];

contro

Comune di Rocca di Papa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gianluca Piccinni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. G. Belli, 39;

nei confronti

Regione Lazio non costituito in giudizio;

per l'annullamento

per l'annullamento

-dell’ordinanza di rimozione e demolizione di opere e strutture [omissis] , con cui l’Amministrazione Comunale ha ingiunto (per quel che riguarda specificamente la ricorrente) “ai proprietari dei manufatti nonché ai locatari ed ai locatori” dei box [omissis] e dei tralicci [omissis] di demolire entro 90 giorni tutte le opere-considerate abusive “provvedendo, altresì, al ripristino dello stato dei luoghi”;

-nonché di ogni altro atto presupposto, antecedente, conseguente, connesso a quello impugnato, anche di esecuzione, pur se non conosciuto dalla ricorrente;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Rocca di Papa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, nelle forme previste dall’art. 4 del dl 28/20 convertito dalla legge 70/20

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente notificato e depositato parte ricorrente, che esercita attività di radiodiffusione, ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, chiedendone l’annullamento.

Con essi, il Comune ha ordinato la demolizione di manufatti necessari alla trasmissione del segnale, costituiti per lo più da “tralicci metallici in base di cemento armato sui quali sono presenti parabole e varie antenne”.

A fondamento degli atti, l’amministrazione ha posto la natura abusiva di essi sul piano edilizio, ambientale ed urbanistico. Le opere, che sorgono in zona soggetta a vincolo paesaggistico e sismico, non sono state infatti assentite dal necessario permesso di costruire, né precedute dalla autorizzazione paesaggistica e dal nulla osta concernente il profilo sismico.

Il ricorso è manifestamente infondato, sicché, per ragioni di economia processuale, ne può essere affrontato il merito, senza soffermarsi sul profilo di inammissibilità dedotto in causa dal Comune.

Fattispecie del tutto analoghe sono infatti già state decise ripetutamente, sia da questo Tribunale, sia dal Consiglio di Stato, nel senso della infondatezza dei ricorsi (CDS. sez. VI, n. 956/19; Tar Lazio, sez. II quater, nn. 9036 del 2017 e 6294 del 2016; id. sez. II ter, 11402 del 2014).

Anche tali casi si riferiscono a tralicci che fungono da base per antenne, realizzati illo tempore (in particolare, la più recente tra le pronunce appena menzionate ha modo di precisare che la fattispecie concerneva la realizzazione di un traliccio di tale natura, risalente al 1976: CDS cit.).

Va premesso che l’abusività dell’opera è palese anche nel caso odierno.

È pacifico, infatti, che essa non sia assistita da autorizzazione paesistica e nulla osta per la sismicità, nonostante questo Tribunale (sentenza n. 9036/17 cit.) abbia già posto in luce che il vincolo paesaggistico risale al DM 24 aprile 1954, certamente anteriore alla realizzazione del traliccio, e quello sismico all’aprile del 1976. Né vi è contestazione da parte della ricorrente in ordine alla insistenza sul luogo anche del vincolo idrogeologico.

È ovvio che tali autonomi profili sarebbero sufficienti a sorreggere gli atti impugnati, anche se non sussistesse l’ulteriore carenza del titolo edilizio.

Ma, anche per tale verso, parte ricorrente si limita a richiamare l’autorizzazione n. XX del XXXX del Comune, che consente il potenziamento di un impianto fino alla realizzazione di un progetto definitivo, con obbligo del gestore di rimuoverlo “su semplice richiesta dell’amministrazione”. È evidente che tale atto, quand’anche riferibile all’impianto per cui è causa, non abbia i requisiti né di forma, né di sostanza propri del permesso di costruire. Così è a dirsi anche dell’ordinanza n. 274 del 1994, che ha ordinato alle emittenti di trasferire le antenne nell’area geografica ove oggi si trovano.

Alla abusività dell’opera consegue, secondo ormai pacifica giurisprudenza (CDS, Ad. Plen. n. 9 del 2017), l’adozione di un atto dovuto e a contenuto vincolato da parte della amministrazione, che ha l’obbligo di reprimere l’illecito, senza dover offrire altra motivazione che ecceda la descrizione dei luoghi, anche a fronte di fatti risalenti nel tempo.

Da tali premesse viene l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso:

1-con il primo di essi, si afferma che l’opera non avrebbe richiesto titolo abilitativo, in quanto risalente nel tempo. A tale scopo viene esibita una sentenza del Tribunale penale di Roma, che nel 1989 ha assolto un imputato, per avere realizzato, a dire della ricorrente, proprio le opere abusive in questione, sia perché esse non avrebbero richiesto titolo abilitativo, sia dal reato punito dall’art. 734 cod. pen. (distruzione o deturpamento di bellezze naturali).

Il Tribunale osserva, anzitutto, che il giudicato penale non è invocabile se non da parte della persona nei cui confronti si è formato, e con riguardo alla sola sussistenza materiale dei fatti che il giudice penale abbia accertato, come stabilisce l’art. 654 c.p.p..

Nel caso di specie, esso non può pertanto vincolare questo giudice, con riguardo alla valutazione giuridica in ordine alla necessità di munirsi di concessione edilizia per la realizzazione dell’opera. Sul punto, deve invece ritenersi che la esecuzione di un traliccio su base in cemento armato, quale piattaforma delle antenne, opera una trasformazione permanente del suolo, tale che la licenza edilizia sarebbe stata necessaria anche negli anni ‘70 e ‘80 (la giurisprudenza amministrativa a quei tempi escludeva dalla necessità del titolo edilizio la sola installazione di antenne equiparabili a quelle casalinghe, CDS n. 594 del 1988, e comunque ancorate direttamente al suolo: CDS n. 642 del 1986).

Ciò comporta che la demolizione dell’opera è misura disposta legittimamente, in quanto essa deve ritenersi abusiva già in forza della normativa applicabile quando fu eseguita.

Ciò vale anche con riferimento alla inosservanza dei numerosi vincoli che l’atto impugnato elenca con adeguato dettaglio, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, con particolare riguardo ai già menzionati vincoli paesaggistico e sismico.

Anche in tal caso , e a maggior ragione, il giudicato penale non può esercitare alcuna influenza quanto alla incontestata assenza dell’autorizzazione paesaggistica e del nulla osta sismico. Difatti, l’art. 734 c.p. è reato di danno, e non di pericolo, sicché è ben possibile che esso non sussista in casi che, a fini preventivi, avrebbero invece richiesto in ogni caso tali autorizzazioni. Nell’ipotesi di specie, dimensioni e caratteristiche del traliccio e delle antenne sono tali, da costituire senza dubbio opera rilevante ai fini dell’autorizzazione, perché incidono sulla componente estetica-visiva del paesaggio.

Quanto, infine, alla necessità di munirsi sia del titolo edilizio, sia dell’autorizzazione paesaggistica e del nulla osta sismico, il Tribunale non ha ragione per discostarsi dalla risposta affermativa che la già citata sentenza 956/19 del CDS ha offerto, in analoga fattispecie. Del resto, va da sé, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, che l’attuale confluenza in un unico procedimento autorizzatorio dei profili edilizi e urbanistici legati alla realizzazione degli impianti (art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003) non significa affatto che la compatibilità di essi con la disciplina propria del territorio sia stata cancellata, ma, piuttosto, che essa andrà valutata in quella sola sede, con divieto di esigere, oltre a ciò, un distinto permesso di costruire (Corte cost. n. 129 del 2006).

In particolare, la circostanza che i tralicci siano opere di urbanizzazione primaria, compatibili con qualunque azzonamento, non significa che essi non debbano comunque essere autorizzati anche per il profilo edilizio e urbanistico, ora in forza dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, e, in precedenza, per mezzo della concessione edilizia.

2-Con il secondo motivo, la ricorrente insiste sulla censura di carenza di motivazione dell’atto e lesione del legittimo affidamento. Il Tribunale ribadisce che da una situazione di abusività non può nascere un affidamento degno di tutela, quanto alla conservazione dello stato di illegalità, e che la natura dovuta dell’atto lo preserva da annullamento per il profilo motivazionale: CDS, Ad, Plen. n. 9 del 2017.

3- Con il terzo motivo, si afferma che gli atti impugnati interferiscono illegittimamente con l’assetto impresso dalla concessione ai fini della trasmissione, che impone la copertura del territorio con un segnale dal livello prestabilito e vincolante, al punto che la demolizione potrebbe compromettere lo svolgimento del servizio di pubblica utilità. Sarebbe inoltre imputabile al Comune il mancato reperimento di un sito alternativo dal quale trasmettere, secondo quanto indicato dalla Regione Lazio con delibera n. 492 del 2017. Da ciò la violazione dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 e l’eccesso di potere.

In senso contrario, il Tribunale aderisce a quanto già ritenuto sul punto da CDS n. 956 del 2019 cit.. Basti aggiungere che, in un ordinamento costituzionale ove non militano valori “tiranni” l’uno sull’altro, l’interesse all’esercizio del pubblico servizio non si sottrae al dovuto coordinamento con l’altrettanto vitale interesse all’armonico sviluppo del territorio, e alla preservazione di ambiente e paesaggio.

Quindi, la circostanza che l’amministrazione non abbia rinvenuto un sito alternativo dal quale irradiare il segnale potrà rilevare ad altri fini, ma non certo elidere l’abusività delle opere. Analoga conclusione va assunta, quanto al dedotto rifiuto del Comune di pronunciarsi sulla domanda della ricorrente di spostare l’impianto altrove.

Peraltro, il Tribunale auspica che il Comune rinvenga rapidamente un sito alternativo.

In conclusione il ricorso va rigettato, e le spese compensate, alla luce del lungo tempo trascorso dall’esecuzione del manufatto abusivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

rigetta il ricorso.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Donatella Scala, Presidente

Marco Bignami, Consigliere, Estensore

Roberta Mazzulla, Referendario