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giovedì 12 ottobre 2017

Civitavecchia, sgominato traffico di rifiuti pericolosi

Fonte: operazione End of Waste - Guardia Costiera
Dai Gruppi Ricerca Ecologica del Lazio il più vivo  ringraziamento alla DDA di Roma ed alla Guardia Costiera per aver sgomitato un traffico di rifiuti internazionali pericolosi operato da criminali senza scrupoli utilizzando capannoni localizzati a Orvieto e nel viterbese, nonché facendo transitare il tutto dal porto di Civitavecchia. 
Riceviamo e pubblichiamo questo comunicato stampa diramato dal Comando generale della Guardia Costiera al termine dell'operazione "End of Waste"*.


Due anni di intensa attività investigativa, coordinata dalla DDA di Roma, hanno portato la Guardia Costiera a sgominare un cartello di imprese dedite al traffico internazionale di rifiuti metallici contaminati che spediti via mare su container da vari porti italiani (Civitavecchia, Livorno, La Spezia, Genova e Ravenna), raggiungevano le destinazioni di Cina, Indonesia, Pakistan e Korea. Le operazioni sono in corso dall'alba di oggi con l'esecuzione di numerosi arresti e sequestri di aziende in varie regioni d'Italia tra Lazio, Toscana e Umbria.

Il G.I.P. presso il Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, ha infatti emesso 7 Ordinanze di custodia cautelare personale e disposto il sequestro preventivo di diversi stabilimenti situati in Orvieto e nel viterbese, oltre a svariati milioni di €uro da sequestrarsi per destinare a confisca, quale recupero sui proventi illeciti.

Fonte: operazione End of Waste - Guardia Costiera
L'indagine, partita da alcuni container sospetti ispezionati dalla Capitaneria di porto di Civitavecchia, coadiuvata dall'Agenzia delle Dogane, ha da subito mostrato profili di rilievo nazionale relativamente alla provenienza dei rifiuti ed internazionale per quanto attiene alle destinazioni. I soggetti arrestati e le loro aziende, mediante vari giri di false attestazioni e certificati, acquistavano rifiuti industriali complessi e contaminati, su tutti da PCB (policlorobifenili – di tossicità equiparata alla diossina), e, dopo aver simulato lo svolgimento di procedure di bonifica in Italia, lo rivendevano tal quale come materiale recuperato e "pronto forno" per un nuovo ciclo produttivo. In realtà i rifiuti, in Italia, subivano solamente una mera macinatura e, fortemente inquinati, venivano spediti via mare nelle destinazioni internazionali, senza nessuno scrupolo per la salute degli operatori in contatto con gli inquinanti.

La trattazione e la bonifica dei rifiuti è disciplinata da un articolato quadro normativo nazionale, europeo ed internazionale che discendono dalla Convenzione di Basilea. Ogni operatore, in ogni fase della filiera, deve poter dimostrare la provenienza e la destinazione dei prodotti, nonché i trattamenti a cui sono stati sottoposti o a cui saranno sottoposti.

46.000.000 € l'anno è la media del giro d'affari derivante dal traffico illecito che emerge dalle indagini, a cui si deve sommare l'effetto negativo indiretto su tutti gli operatori rispettosi delle regole del settore, in particolare le aziende sane che offrono sul mercato i servizi di bonifica, limitando per esse i margini di guadagno; senza contare i maggiori costi per le imprese che conferiscono lecitamente i rifiuti.

[*]  rifiuto che cessa di essere tale al termine di un idoneo ciclo di trattamento e bonifica; ritorna ad essere materia "prima" da impiegarsi in un nuovo ciclo produttivo. Gli indagati, mediante un articolato sistema di falsi documenti prodotti da false aziende, esportavano rifiuti dichiarandoli "end of waste" appunto.