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mercoledì 20 maggio 2020

Boschi in area protetta, chi effettua i tagli è sempre responsabile

Non conoscere la normativa statale e regionale in materia di taglio di piante d’alto fusto in area vincolata boschiva, ed il fatto che l'impresa incaricata dell'opera si fosse affidata a un terzo che avrebbe provveduto alla materiale compilazione del modulo, non può escludere la responsabilità per un reato contravvenzionale. 
Infatti, quest’ultimo è punito anche a titolo di colpa e, pertanto, l'impresa avrebbe dovuto compiere tutte le verifiche necessarie per accertare la correttezza e la rispondenza al reale delle indicazioni contenute della dichiarazione e, quale esercente professionale di attività di taglio boschivo, avrebbe dovuto conoscere la relativa normativa. 
Nelle fattispecie contravvenzionali, invero, la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto e derivi da un elemento positivo estraneo all'agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto, la prova della sussistenza del quale deve essere fornita dall'imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata.
Ma leggiamo per intero la sentenza...

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da [nome e cognome del ricorrente] , nato in ALBANIA;
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE in data 2/07/2019;
visti gli atti, il provvedimento denunziato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere [omissis];
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale [omissis], che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 2/07/2019, depositata in data 03/07/2019, la Corte di Appello di Firenze, ha confermato la sentenza emessa dal tribunale di Firenze in data 19/9/2017 con cui il [ricorrente] era stato ritenuto colpevole della contravvenzione di cui all'articolo 181, d.lgs 42/2004 perché, senza la prescritta autorizzazione, effettuava interventi in area vincolata boschiva e, segnatamente, effettuava il taglio indiscriminato di piante d’alto fusto, con condanna del medesimo alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 10.000 di ammenda, in relazione a fatti contestati come commessi in data prossima al 6.01.2015.
2. Ha proposto ricorso per cassazione [ricorrente], a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) cod. proc. pen., e il correlato vizio di illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento probatorio, quanto alla deducibilità nel caso della c.d. doppia conforme.
In sintesi, la censura investe la sentenza impugnata in quanto sostiene il ricorrente come già nei motivi di impugnazione di merito egli aveva evidenziato che appariva errata la valutazione dei mezzi di prova assunti nel corso dell’istruttoria dibattimentale e che, comunque, non erano sufficienti a provare al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto.
Infatti, aveva già sottolineato che era stata ignorata o comunque erroneamente valutata dal giudice tutta la parte della testimonianza resa dall'ufficiale di p.g. [omissis] da cui emergeva in maniera chiara che il ricorrente, titolare d’impresa regolarmente costituita, aveva acquistato il legname ricavabile dai suddetti appezzamenti di terreno assumendo l’obbligo di seguire le prescrizioni dettate dal permesso rilasciato dal circondario empolese Valdelsa della provincia di Firenze.
Risultata evidente, quindi, che il problema non era il tipo di taglio eseguito fustaia disetania piuttosto che bosco ceduo, tagli che, per ammissione del [ufficiale di p.g. omissis], se autorizzati, potevano essere effettuati in quel bosco, e neppure lo sconfinamento in particelle adiacenti che sono risultate di proprietà di [omissis], parente di [omissis] che non ha rivolto alcuna doglianza nei confronti del ricorrente, ma il tipo di autorizzazione richiesta all’Unione dei comuni del circondario empolese Valdelsa, ed in particolare il tipo di modulistica con cui tale autorizzazione è stata inoltrata.
Infatti, per il ricorrente bastava scorrere la dichiarazione di taglio boschivo ed opere connesse, protocollata il 4/12/2014 dal circondario empolese Valdelsa per capire che tale modulo non poteva essere stato redatto dal ricorrente, dal momento che le conoscenze che si devono avere della normativa nazionale e regionale sono specifiche e che egli aveva dovuto quindi fare affidamento su uffici preposti e competenti.
Risulta evidente quindi che l’errore stava nella compilazione del riquadro “bosco ceduo” invece che nel successivo “fustaia”, errore che era stato fatto ricadere nella responsabilità del ricorrente solo perché questi aveva apposto in calce la firma su timbro della sua ditta.
Al contrario, per la difesa, si sarebbe dovuto valorizzare il fatto che, nell'ultima pagina di tale dichiarazione, vi era l’indicazione di altro soggetto delegato a ricevere le comunicazioni inerenti il presente procedimento e, pertanto, l’errore in cui è stato indotto il ricorrente risulta evidente ancor più se si considera che la dichiarazione in esame è stata redatta in data 3 dicembre 2014, all'indomani della firma del contratto di vendita di bosco tra il [omissis] e il ricorrente, documento che era nella disponibilità del redattore della dichiarazione. Nessun rimprovero quindi, neppure a titolo di colpa, poteva muoversi al ricorrente dal momento che egli avrebbe operato in virtù di un contratto e di dichiarazione di taglio redatta da un ufficio competente.
In altre parole, il tema di prova diverrebbe quindi l’incidenza che l’errore nella compilazione del modulo aveva avuto nella coscienza e volontà da parte dell’imputato di violare la norma incriminatrice e, quindi, per il ricorrente, diveniva rilevante valutare l’elemento soggettivo della fattispecie di reato.
La Corte d’appello, nel momento in cui afferma che anche se che vi fosse stato un errore da parte di colui che ha materialmente compilato il modulo, questo non avrebbe escluso la responsabilità del ricorrente che doveva compiere tutte le verifiche necessarie per accertare la correttezza e la rispondenza al reale delle indicazioni contenute nel modulo, traviserebbe la prova, dal momento che l’errore nella compilazione del modulo non è riferibile alla responsabilità del ricorrente che, in ragione del contratto sottoscritto con il [omissis], ha acquistato ed ha quindi il diritto al tipo di taglio effettuato, e non a quello oggetto della dichiarazione inoltrata da un ufficio preposto e competente.
In altre parole, l’errore si correlerebbe in via diretta con l’elemento soggettivo del reato, dal momento che il ricorrente, in ragione del contratto firmato, aveva messo il delegato nella condizione di verificare il tipo di domanda che si doveva inoltrare all'ufficio per le autorizzazioni, confidando nella conformità tra il contratto e l’autorizzazione.
Come riferito dal teste [omissis] (di cui il ricorrente riporta alla pag. 4 del ricorso uno stralcio della deposizione), si poteva utilizzare il medesimo modulo barrando tuttavia caselle diverse, ed il fatto sanzionato dalla norma in esame impone che il soggetto abbia voluto eseguire lavori in difformità dalla prescritta autorizzazione e, pertanto, che questo sia il frutto di una deliberazione cosciente e volontaria, circostanza che non sussiste nel caso in esame.
Il ricorrente sottolinea infine che l’illogicità della motivazione ed, in particolare, il travisamento della prova possono essere dedotti in Cassazione anche nel caso di doppia conforme sia quando il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, ha richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni in entrambe le sentenze di merito (in questo senso vengono citate Cass., sez. 2, n. 5336/2018 e Cass., sez. 5, n.8188/2017).
2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all'articolo 131-bis c.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la Corte d’Appello, nel sopperire all'omessa motivazione del giudice in ordine alla mancata esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, avrebbe disatteso il fatto che l’intervento del ricorrente si collocherebbe in un rapporto tra privati in forza di regolare contratto e che, come tale, rivestirebbe illiceità penale solo con riguardo ad un errore nella compilazione del modulo per la richiesta autorizzativa.
Nel caso di specie, ricorrerebbero quindi tutti i presupposti previsti dalla norma di cui all'articolo 131-bis cod. pen., dal momento che si tratta di un reato contravvenzionale, il danno è esiguo ed il comportamento non è abituale.
Infatti, il danno sarebbe conseguenza unicamente dell’errato inoltro di documentazione amministrativa e, anche considerando la valutazione del primo giudice, il trattamento sanzionatorio e la concessione delle attenuanti generiche dovrebbero essere considerate in tal senso.
2.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) in relazione alla determinazione della pena, in particolare per la difformità tra motivazione e dispositivo in ordine alla concessione delle attenuanti generiche nonché il vizio di cui all'articolo 606 lettera e), cod. proc. pen., per la correlata mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche e, dunque, alla determinazione della pena finale.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, già in sede di gravame era stato evidenziato come fosse carente la motivazione del primo giudice in ordine ai criteri adottati per la determinazione della pena e, soprattutto, come vi fosse una difformità tra il dispositivo e la motivazione in relazione alla concessione delle attenuanti generiche.
Infatti, il giorno 19/9/2017 in pubblica udienza il giudice, all'atto della lettura del dispositivo, avrebbe concesso le attenuanti generiche, ma nella motivazione, depositata in cancelleria in data 16/11/2017, si legge che esse non potevano essere concesse data l’esistenza di un precedente penale.
Nessun criterio, data la carenza sul punto della motivazione, consente di capire se il giudice nel determinare la pena in mesi quattro di arresto e 10.000 € di ammenda abbia tenuto conto o meno delle attenuanti generiche e, comunque, si dovrebbe ritenere insanabile il contrasto tra motivazione e dispositivo e nulla la sentenza per violazione di legge.
Inoltre, la Corte d’Appello, sul punto, ha ritenuto che le attenuanti generiche menzionate nel dispositivo, anche in mancanza di una esplicitazione argomentativa in motivazione, debbano considerarsi riconosciute dal tribunale, dal momento che questo ha quantificato la pena pecuniaria al di sotto del minimo edittale.
Tale motivazione appare contraddittoria ed illogica dal momento che il primo giudice, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello nelle proprie motivazioni, aveva esplicitato l’impossibilità di concedere le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena, contraddicendo il dispositivo letto in udienza.
Per il ricorrente ritenere che la determinazione sotto il minimo edittale della pena debba interpretarsi come conseguenza della riduzione operata in ragione delle attenuanti introduce un ulteriore elemento di illogicità, dal momento che comunque la pena detentiva è determinata ben oltre il minimo edittale.
Inoltre, la Corte di Appello introduce un ulteriore elemento illogico nel ritenere che l’entità della pena stabilita sia proporzionata alla non trascurabile gravità del fatto e, pertanto, non meriti ulteriori riduzioni, dal momento che contemporaneamente aveva giustificato la concessione delle attenuanti generiche per la determinazione della pena sotto il minimo edittale almeno con riferimento alla pena pecuniaria.
In altre parole, il ricorrente sottolinea che, in assenza di motivazione, non si può capire quale sia stato il criterio di valutazione adottato dal giudice, sia nella concessione delle attenuanti generiche sia nella determinazione della pena finale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
4. Ed infatti, per quanto attiene al primo motivo di ricorso, relativo all'elemento soggettivo, è opportuno sottolineare che i giudici di merito hanno correttamente ritenuto la responsabilità del ricorrente il quale è titolare di una ditta avente ad oggetto quale prevalente attività il taglio di boschi per conto di terzi.
Pertanto, correttamente i giudici hanno sottolineato che egli doveva conoscere la diversità delle piante e le regole di taglio. In altre parole, i giudici ritengono che la non conoscenza della normativa statale e regionale in materia, ed il fatto che il ricorrente si fosse affidato a un terzo che avrebbe provveduto alla materiale compilazione del modulo, non poteva escludere la responsabilità del [ricorrente] per un reato contravvenzionale. Infatti, quest’ultimo è punito anche a titolo di colpa e, pertanto, il ricorrente avrebbe dovuto compiere tutte le verifiche necessarie per accertare la correttezza e la rispondenza al reale delle indicazioni contenute della dichiarazione e, quale esercente professionale di attività di taglio boschivo, avrebbe dovuto conoscere la relativa normativa.
Nelle fattispecie contravvenzionali, invero, la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto e derivi da un elemento positivo estraneo all'agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto, la prova della sussistenza del quale deve essere fornita dall'imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (tra le tante: Sez. 4, n. 9165 del 05/02/2015 – dep. 02/03/2015, Felli, Rv. 262443).
4.1. In particolare, l’imputato non ha adempiuto al suo onere, non avendo, infatti, dimostrato di aver fatto tutto il possibile per osservare la norma violata, dal momento che spetta a lui provare il contenuto dell’eccezione difensiva rispetto alla prova della colpa fornita dall'accusa (in questo senso, v. anche: Sez. 1, n. 13365 del 19/02/2013 -dep. 21/03/2013, Rv. 255178).
Infatti, la valutazione dell’inevitabilità dell’errore di diritto, rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell'agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo e, nel caso di specie, i giudici hanno valorizzato la professionalità del ricorrente che era titolare di una ditta operante nel settore.
Infatti, la valutazione dello stato soggettivo dell’imputato, al fine dell’accertamento della sua buona fede che esclude la colpevolezza, deve tenere conto non solo dei fattori esterni che possono aver determinato nell'agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, ma anche delle conoscenze e delle capacità del medesimo.
5. Per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'articolo 131 bis c.p., esso deve essere considerato infondato.
Invero, la Corte di appello correttamente ha ritenuto il fatto non tenue data la portata dell’intervento abusivo che ha interessato una vasta area e un gran numero di piante.
Del resto, per quanto attiene alla causa di non punibilità in esame, il giudice è tenuto a valutare se per la modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Il giudice per verificare la tenuità dell’offesa deve quindi riferirsi ai criteri dettati dall'articolo 133 c.p., ma non è necessario che li esamini tutti, essendo sufficiente che indichi a quale ha inteso far riferimento perché ritenuto rilevante e decisivo.
Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha affermato che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 – dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Il Giudice, accertato il reato, deve quindi motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
Nel caso di specie la motivazione appare corretta e rispettosa del dettato normativo, dal momento che il giudice ha individuato le caratteristiche della condotta ostative al riconoscimento dell’offesa come di particolare tenuità, senza limitarsi a far uso di mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018- dep. 02/05/2019, Rv. 275940).
6. Per quanto concerne il terzo motivo di ricorso, relativo alle circostanze attenuanti generiche, è opportuno considerare che, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (così Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018 – dep.28/01/2019, Rv. 275690). In altre parole, il principio generale incontra una deroga nel caso in cui l’esame della motivazione consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice.
Nel caso in esame, tuttavia, la Corte di appello ha ritenuto di dar prevalenza al dispositivo anche in considerazione della pena irrogata dal tribunale che è di 10.000 euro e quattro mesi di arresto, dato che, per il reato in esame, si applicano le sanzioni di cui all’art. 44, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, che prevede l’ammenda da 15.493 a 51.645 € e l’arresto fino a 2 anni.
Per quanto attiene, quindi, alla pena pecuniaria la sanzione irrogata risulta inferiore al minimo edittale e ciò costituisce indice inequivoco del riconoscimento delle attenuanti generiche (altrimenti dovendosi considerare la pena inflitta come illegale in quanto inferiore al minimo di legge), come tale, dunque, compatibile con la concessione delle attenuanti generiche.
La motivazione della sentenza d’appello, sul punto, appare pertanto congrua, non contraddittoria e scevra da illogicità manifeste laddove ha ritenuto di dover dare prevalenza al dispositivo, come tale, non censurabile in sede di legittimità.
7. Il ricorso dev'essere dunque complessivamente rigettato.
Per completezza, rileva il Collegio che il reato non è ancora estinto per prescrizione, dovendosi aggiungere al termine massimo di prescrizione (6.01.2020), gg. 182 di sospensione per il rinvio dell’udienza dal 21.03 al 19.09.2017, dovuta all'astensione del difensore dalle attività di udienza per l’adesione all'agitazione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza.
Il termine, dunque maturerà il prossimo 6.07.2020.
8. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 3 marzo 2020
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.