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mercoledì 16 ottobre 2019

Cimice asiatica: è allarme anche nel Lazio!



L’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione dell'Agricoltura del Lazio) ha certificato la presenza della cimice asiatica anche nel Lazio, grazie a rilievi effettuati nel corso dell’estate dal Servizio fitosanitario regionale su alcuni impianti di Kiwi nella provincia di Latina.
La cimice asiatica, Halyomorpha halys, è un insetto appartenente alla famiglia dei Pentatomidi originario dell’Asia orientale (Cina, Taiwan, Corea e Giappone), i cui esemplari adulti sono lunghi circa 14–18 mm ed hanno il tipico aspetto delle cimici ma con una colorazione marmorizzata che spesso li fa confondere con la cimice grigia (Raphigaster nebulosa). In Europa è stata segnalata per la prima volta nel 2004 in Svizzera. Le prime osservazioni di questa specie in Italia sono state registrate in provincia di Modena e Reggio Emilia nel 2012, quindi in Piemonte, Lombardia (2013), Friuli-Venezia Giulia, Marche (2014) e Veneto (2014).
È estremamente polifago e attacca diverse 170 specie vegetali: dalle piante da frutto agli ortaggi, ma può alimentarsi anche a spese di fiori e/o frutti di numerose specie ornamentali e forestali (gelso, acero, frassino, ligustro, prugnolo, robinia, sanguinello; alcune specie, come paulonia e ailanto sono molto attrattive). I danni maggiori risultano a carico dei fruttiferi: pesche e nettarine, pere, mele, actinidia, con diversa incidenza secondo le varietà.
Gli adulti di H. halys sono particolarmente mobili e in grado di coprire in volo grandi distanze (finanche 2-5 Km in 24 ore) alla ricerca di risorse alimentari o siti di svernamento. Halyomorpha halys è un insetto dotato di apparato boccale pungente succhiante, che si alimenta prevalentemente su frutti. I sintomi associati alle punture sono lesioni, imbrunimenti, deformazioni, suberificazioni e anomalie cromatiche sui frutti, con scadimento commerciale della produzione. In qualche caso sono possibili anche danni precoci, associati a punture sui bottoni fiorali e giovani frutti, con successivo aborto fiorale o cascola anticipata.
Si pensi che i danni arrecati in campo vanno da percentuali a volte anche molto contenute (4-6-10%), fino al 70-80% o alla totale perdita del prodotto (e pertanto con rinuncia alla raccolta o diversa destinazione del raccolto). I danni, che vengono arrecati sia su frutti/semi in via di formazione/maturazione sia su prodotti prossimi alla raccolta (o già raccolti) si manifestano però anche successivamente, in post-raccolta, sul prodotto inizialmente considerato «sano» (in cella refrigerata si arriva anche al 50% delle perdite).
distribuzione globale della cimice asiatica (fonte: EPPO)
In tutto il nord Italia la situazione è drammatica: in Emilia Romagna è addirittura a rischio la sopravvivenza dell’intera filiera produttiva delle pere, come dichiarato dall’assessore regionale all’Agricoltura. Secondo Confagricoltura, nel Veneto le perdite ammonterebbero ad oltre 3.000 euro per ettaro, mentre la Regione Lombardia ha segnalato danni fino all'80% delle colture (addirittura sulle pere mantovane si registrano danni al 70%, sulle mele al 10%, sulla soia al 20%. Su pesche e prugne il danno è del 40%, con punte dell’80% in provincia di Brescia) chiedendo aiuto al governo e dando parere favorevole per l'utilizzo in uso eccezionale dei prodotti fitosanitari.
L’insetto alieno era già stato rinvenuto in alcuni giardini privati di Roma dal 2017 (ritrovamento comunicato alla Commissione Europea ed ha costituito un alert sulla possibile diffusione dell’insetto in ambiente agricolo), ma fino a quest’estate era sconosciuto negli ambienti agricoli del Lazio, ed in particolare in provincia di Latina dove sono presenti circa il 30% delle superfici a kiwi e il 33% del prodotto: ora è in corso di definizione l’effettivo areale di infestazione, nonché i danni negli impianti di kiwi risultati infetti. Danni che per il Tavolo Verde riunitosi a settembre scorso a Cisterna di Latina, e composto dai rappresentanti delle amministrazioni comunali interessate (oltre Cisterna di Latina, i Comuni di Latina, Velletri, Cori e Sermoneta), delle principali organizzazioni sindacali di categoria (Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Aspal e Fagri) nonché dai responsabili del settore decentrato dell’Agricoltura (ADA) di Latina e del Servizio Fitosanitario Regionale, arriverebbero fino all’essiccamento del 20% delle piante di kiwi.
Per contrastare la diffusione del parassita, la Regione Lazio suggerisce di valutare sistemi integrati, quali ad esempio l’attract & kill, anche detto sistema dissuasore, che sfrutta l’impiego, in aree esterne alle colture da proteggere, di feromoni di aggregazione in grado di riunire in un'area di alcuni metri quadrati un notevole numero di esemplari di questa specie che viene poi trattato con un insetticida autorizzato. Oppure l’impiego di specie vegetali particolarmente appetibili all’insetto (quali soia o girasole) che, appositamente messe a coltura in aree esterne alle piantagioni da difendere, potrebbero essere trattate con insetticida autorizzato allorquando risultassero infestate dalla cimice.

Ma quali sono questi insetticidi? Secondo il Centro di ricerca difesa e certificazione del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) che ha affrontato il tema durante il seminario tenutosi nel febbraio scorso a Caprarola e intitolato «Halyomorpha halys (Cimice marmorata asiatica) – Popillia japonica (Coleottero scarabeide del Giappone) due emergenze fitosanitarie per le colture laziali», i principi attivi al momento impiegati per la difesa dalla cimice asiatica sono:

  • piretroidi (alfacipermetrina, betaciflutrin, deltametrina, lambdacialotrina, etofenprox, taufluvalinate);
  • neonicotinoidi (acetamiprid, thiacloprid);
  • fosforganici (clorpirifosmetile, clorpirifosetile, fosmet).

Al di là della dimostrata pressochè inutilità dell'utilizzo dei pesticidi per contenere le cimici asiatiche (come indicato nel grafico di fianco che riporta uno studio del 2016 di Nannini ed altri, pubblicato su L'informatore agrario), tale soluzione rischia però di avvelenare ulteriormente un territorio già martoriato dai pesticidi, con inimmaginabili rischi per la salute e per l’ambiente: come infatti denunciato nel testo “Note sull’inquinamento da pesticidi in Italia” a cura di Massimiliano Pietro Bianco e pubblicato a dicembre 2017 in collaborazione con i Gruppi Ricerca Ecologica Lazio, in base ai dati ISTAT relativi all’anno 2015 dei pesticidi distribuiti per uso agricolo in tutte le province italiane, in provincia di Latina ne sarebbero arrivati ben 3.789.872 kg (tra fungicidi, insetticidi e acaricidi, erbicidi, composti vari) pari al 56% di quanto arrivato nell’intero Lazio. In particolare: «la maggior parte dei campionamenti riguarda sostanze proibite ai sensi degli attuali regolamenti nazionali e europei. Tenendo presente i limiti di cui sopra relativamente alle sostanze cercate, dai dati del 2016 è evidente la connotazione rispetto all’agricoltura intensiva essendo i pesticidi in particolare diffusi nelle acque della piana di Rieti e della pianura Pontina». L’uso di fitofarmaci tossici e illegali nelle campagne italiane e in particolare quelle pontine è approdato in Parlamento, grazie a due interrogazioni: la prima presentata dal senatore Pietro Grasso (LeU), già Presidente a Palazzo Madama, ed indirizzata ai Ministri della Salute, delle Politiche Agricole e dell’Interno; la seconda presentata dall’On. Susanna Cenni (PD), vice presidente della Commissione Agricoltura alla Camera, e rivolta anch’essa ai Ministri della Salute e delle Politiche Agricole.
Altri tipi di sistemi che il CREA ha individuato sono quelli di esclusione fisica come le reti anti-insetto (che, se adeguatamente dimensionate danno buoni risultati, ma sono applicabili solo in alcuni contesti produttivi ed inoltre necessitano di una forte attenzione nell’allestimento e nella chiusura degli interspazi e richiedono massima cura e controllo durante la stagione) o le Reti LLIN (Long Lasting Insecticide Net), che associano le reti anti-insetto ad un insetticida, in genere un piretroide (sono state effettuate applicazioni sperimentali nel 2017-2018 in meleti, pereti e noccioleti, ma se hanno consentito di abbattere un elevato numero di cimici sia nella stagione produttiva sia dopo la raccolta, purtroppo non si è avuta nessuna evidenza sulla possibilità di protezione della produzione).
Purtroppo, quindi, i sistemi di contrasto alla sua diffusione messi in campo finora si sono dimostrati del tutto inefficaci, tanto che il Comitato fitosanitario Nazionale, organo di coordinamento dei Servizi Fitosanitari Regionali, sta predisponendo un “Piano di azione nazionale per il contrasto della Cimice asiatica” che tenterà di combinare al meglio, integrandoli, i diversi sistemi di lotta al parassita.
vespa samurai (foto Oregon State University)
In particolare le speranze contro questo flagello sono rivolte ai limitatori naturali ed in particolare nella soluzione proposta dalla Fondazione Mach di San Michele all’Adige (Trentino), che ha lavorato insieme a diverse strutture dell’Università di Trento (il Centro Ricerca e Innovazione, il Centro Trasferimento Tecnologico e il Centro Agricoltura Alimenti Ambiente): si tratta di due insetti antagonisti anch’essi di origine asiatica ma già rinvenuti in Italia, i cui nomi scientifici sono Trissolcus japonicus e Trissolcus mitsukurii ma sono entrambe meglio note come vespe samurai (sebbene, a dispetto del nome, non siano dotate di pungiglione e quindi non sono pericolose per l'uomo). Nelle aree di origine in Asia, la presenza di questi due principali agenti di biocontrollo della cimice in equilibrio con la cimice impedisce pullulazioni devastanti del fitofago.
Le vespe samurai attaccano le uova della cimice asiatica e vi depongono le proprie all’interno. Probabilmente sono arrivate in Europa in maniera accidentale seguendo le stesse rotte di invasione del loro ospite: in Italia, T. japonicus era stato rinvenuto finora solo in alcuni siti in Lombardia e Piemonte, mentre T. mitsukurii in aree ristrette del Friuli, Lombardia ed Alto Adige. Gli scienziati stanno pertanto stabilendo la diffusione delle due specie in nord Italia e definendo le loro capacità di contenimento delle popolazioni della cimice
Finora i vincoli legislativi nazionale rendevano inattuabile il controllo biologico tramite l’introduzione di nuove specie. Dopo quattro anni di sollecitazioni da parte delle Regioni del nord, recentemente è stato però promulgato il Decreto del Presidente della Repubblica n.102 del 5 luglio 2019, che apre al rilascio di organismi utili esotici per la lotta biologica (articolo 2, comma 4) previa autorizzazione del Ministero dell’ambiente che dovrà valutare eventuali danni che possano derivare alla fauna e flora locale dall’introduzione di queste specie. Tuttavia per la concreta applicazione del rimedio bisognerà attendere il regolamento attuativo della nuova legge nazionale per la lotta biologica.